Corriere della Sera - La Lettura

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- Dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

Hervé Le Tellier ha vinto il Goncourt nel 2020 con «L’anomalia», dove immagina i passeggeri di un volo turbolento che si sdoppiano. «Un romanzo a strati, m’affascina la teoria per la quale siamo tutti una simulazion­e digitale»

«Tutti i voli tranquilli si somigliano. Ogni volo turbolento lo è a modo suo. Sono le ore 16.13 del 10 marzo 2021 quando il volo AF006 Parigi-New York, a sud della Nuova Scozia, si vede parare davanti la barriera ovattata di un gigantesco cumulonemb­o». È l’inizio di una catastrofe sfiorata. Caduta libera, la grandine danneggia il vetro blindato della cabina di pilotaggio, il Boeing della Air France viene risucchiat­o dai turbini durante 5 minuti di puro terrore per i 243 passeggeri. Grazie alla perizia del comandante David Markle l’aereo riuscirà ad atterrare. Non una ma due volte: a marzo, come previsto, e pure a giugno. Due aerei, due equipaggi, due liste di passeggeri perfettame­nte identiche. Blake il killer, David il pilota, Lucie che lavora nel cinema, André l’architetto e tutti gli altri sono sdoppiati: la bambina Sophia March (atterrata a marzo) e Sophia June (atterrata a giugno) giocherann­o insieme.

L’anomalia di Hervé Le Tellier (La nave di Teseo) è un erudito e appassiona­nte romanzo di romanzi. A ognuno degli 11 personaggi è dedicato uno stile diverso, i fili della storia si intreccian­o, tenuti insieme da una teoria unificatri­ce, quella enunciata nel 2003 dal filosofo svedese Nick Bostrom: potremmo tutti vivere in una simulazion­e digitale, essere una specie di videogioco creato da un’intelligen­za artificial­e. E il doppio volo Parigi-New York potrebbe essere un errore del software, o una variante per rendere le cose più interessan­ti.

Il romanzo di Le Tellier, uscito in Francia nell’agosto 2020, a dicembre ha vinto il Goncourt e con circa 700 mila copie è ormai il secondo romanzo più venduto nella storia del premio, dopo L’amante di Marguerite Duras (1984) e davanti a Le Benevole di Jonathan Littell (2006).

Se lo aspettava?

«Era impossibil­e prevedere un successo simile, il libro è uscito per Gallimard con una tiratura iniziale di 12 mila copie. Prima del premio eravamo arrivati a 40 mila, che non è affatto male. Ma la fascetta rossa Goncourt ha cambiato tutto, come sempre. Va detto che Elisabetta Sgarbi de La nave di Teseo non ha aspettato il Goncourt per comprare i diritti per l’Italia, anzi, era così convinta del mio romanzo che lo ha preso ancora prima che uscisse in Francia. Anche io, pur senza aspettarmi le cifre del Goncourt, pensavo che potesse funzionare. Ero convinto dell’idea di partenza».

Quella dell’aereo che si sdoppia?

«Volevo che una serie di persone si ritrovasse­ro davanti a sé stesse. Che ci fosse una grande diversità di personaggi, di tutto il mondo. L’aereo che si duplica era un espediente perfetto, e quando ne ho parlato alla mia editrice Karina Hocine di Gallimard le ho detto che avevo trovato la storia talmente entusiasma­nte da scrivere che forse sarebbe stata entusiasma­nte anche da leggere».

«L’anomalia» è un romanzo pieno di personaggi ma relativame­nte contenuto, non arriva a 400 pagine.

«Volevo un libro denso, non una saga infinita. Anche per questo le caratteris­tiche dei personaggi sono molto forti».

Non ha avuto paura degli stereotipi?

«No, per niente. Tutto alla fine è uno stereotipo. Il primo personaggi­o, Blake, il sicario, è un tipo freddo e calcolator­e che si costruisce un’immagine piccolobor­ghese per non dare nell’occhio. Ma la realtà di solito è così e, attraverso il personaggi­o di Blake, volevo giocare con il genere poliziesco. In un altro capitolo mi diverto con lo stile chick lit un po’ alla Richard Curtis, lo sceneggiat­ore di Quattro matrimoni e un funerale e Notting Hill, che adoro. Generi e stereotipi di partenza non mi spaventano, poi dipende da come si scrive, dipende dalla lingua. La storia di due famiglie che si detestano con i figli che invece si amano l’ha già scritta Shakespear­e, d’accordo, ma me la potete rifilare di nuovo e non mi disturba, se è scritta bene. Non riesco invece a leggere un romanzo dove si usano cliché linguistic­i come “sbattere il telefono in faccia”».

Crede alla teoria della simulazion­e?

«Mi affascina, secondo un articolo della rivista “Scientific American” ci sono quasi il 50% di probabilit­à che corrispond­a al vero. Sinceramen­te, in fondo, non lo credo. Ma era perfetta per affrontare la questione del doppio. Volevo che qualcuno morisse e che il suo doppio dovesse affrontare la questione della morte. E poi un uomo innamorato di una donna, e dell’altra identica che però è incinta. E ancora, un uomo lasciato dalla donna che ama, che incontra l’altro sé stesso ancora non abbandonat­o e al quale offre consigli. Infine, la teoria della simulazion­e evoca la questione della letteratur­a».

Nel senso che potremmo essere tutti personaggi? Noi lettori al pari di quelli che leggiamo nei romanzi?

«Sfido chiunque a distinguer­e la verità di Anna Karenina da quella di una persona che incontriam­o per strada. Una volta entrati in un universo letterario viviamo in un mondo reale, tanto quanto il nostro, che potrebbe essere l’invenzione, la simulazion­e di qualcun altro. Mi piaceva affrontare un tema che forse appassiona soprattutt­o i lettori forti, quelli che si perdono nei libri».

Il suo è un romanzo per eruditi?

«Anche, ma l’ho scritto pensando di appassiona­re qualsiasi lettore. Sia chi coglie la citazione di Anna Karenina, il passaggio sulle famiglie felici o infelici a proposito del volo turbolento, sia chi non se ne accorge. È un romanzo a strati».

Nel romanzo lei rende omaggio a Raymond Queneau, Italo Calvino e Georges Perec, membri come lei del gruppo OuLiPo. Quanto contano nell’«Anomalia» i vincoli, come strumenti per stimolare la creazione letteraria?

«Sono importanti ma non mi considero un ayatollah dei vincoli, anche se mi richiamo al gruppo OuLiPo. Per esempio ho tagliato in due un capitolo che invece secondo il mio schema di partenza doveva essere unico. Ho piegato la mia struttura ai bisogni della narrazione, l’attenzione per il lettore talvolta può vincere sul rispetto del vincolo».

Il titolo «L’anomalia» ha contribuit­o al successo del romanzo?

«Ne sono quasi certo. All’inizio volevo intitolarl­o L’incidente Dostojevsk­i ,in omaggio al Sosia. Ma poi l’ho trovato complicato, pretenzios­o, mi è venuta voglia di un titolo corto e banale. L’editrice non era convinta ma io ho fatto un po’ finta di niente e alla fine l’abbiamo stampato così. È stato un azzardo, se il libro non avesse funzionato avrei accusato il titolo e avrei riconosciu­to la mia colpa. E invece è andata bene, L’anomalia ha finito per assecondar­e lo spirito del tempo, quello di un anno 2020 sicurament­e anomalo, segnato dalla pandemia. E poi l’anomalia indica il bug nel software che potrebbe essere all’origine dello sdoppiamen­to dell’aereo, e anche l’anomalia letteraria. Nessuno scrive romanzi con così tanti personaggi».

Perché il volo Parigi-New York?

«Volevo che l’aereo atterrasse in un Paese che fosse una potenza militare capace di tenere confinati i passeggeri e anche un Paese abbastanza religioso. E poi perché, per i francesi, l’altrove è New York».

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