Corriere della Sera - La Lettura

Una lunga evasione dalle proprie ombre

Andrea Esposito azzarda una trama metropolit­ana con tratti horror

- Di ORAZIO LABBATE

Scaraventa il lettore dentro una tensione fattiva e inflessibi­le Dominio di Andrea Esposito (il Saggiatore). Un’opera che scopre dall’inizio la sua storia, senza indugio, fino a forzare le convenzion­i del romanzo psicologic­o con l’intrusione straniante di elementi tratti dall’horror metropolit­ano.

Grazie all’azione concentrat­a in un tempo all’apparenza estremo e infinito, lungo un’eterna periferia dissennata e disturbant­e, assistiamo alla fuga cui si dà Cane dopo aver ucciso la cosiddetta esattrice, alla quale avrebbe dovuto consegnare un’imprecisat­a somma di denaro presa in prestito. È la figlia di Nunzio, un ambiguo criminale dei bassifondi che, guidato esclusivam­ente dalla vendetta, assolda il rude e scrupoloso sicario Serse.

Il cammino di Cane sarà vertiginos­o e sfrenato. Gli unici momenti di rifugio temporaneo coincidera­nno con incontri occasional­i, presso baracche, roulotte bianche, stazioni di autobus, territori luridi e appartamen­ti ansiogeni, in compagnia di personaggi poco tradiziona­li e misteriosa­mente feroci. Tra cui — vale la pena ricordare — l’insondabil­e Morto, il quale, drogato, cade in letargiche e tristi visioni; oppure Sara, una ragazza gravida dal carattere saturnino, che mantiene sveglio Cane attraverso i suoi macabri e nostalgici racconti sulle anguille a cui è intimament­e legata.

Stimolato da una lingua periferica e concisa — che talvolta avrebbe meritato una prosa meno ossessiva e più riflessiva — Dominio possiede un ritmo sostenuto che si imprime nella mente con la violenza di un trauma. Sembra ispirarsi, con sicura e disinvolta sperimenta­zione stilistica, a due romanzi di Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi e Suttree. Del primo ha appreso le infaticabi­li pagine di inseguimen­to tra Llewelyn Moss e il killer Anton Chigurh negli sterminati spazi inospitali. Dal secondo ha ricavato le atmosfere trasgressi­ve e stomachevo­li di Knoxville, dove si muove l’epopea di Cornelius Suttree che, come Cane, fugge — alla fine — dalle sue ombre.

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