Corriere della Sera - La Lettura
E se trovi la vita assaggi anche il buio
Alessandro Rivali si inoltra nella «terra di Caino»
In primo luogo, nel leggere La terra di Caino di Alessandro Rivali, si percepisce la dialettica tra frammento e unità che lo sottende. Quello di Rivali è un libro sagacemente strutturato, curato nel suo aspetto architettonico, quasi a custodire, si direbbe, un soffio ispiratore intermittente e carsico, come a sorreggerlo e instradarlo. Questo poeta di origine genovese trapiantato a Milano usa figure emblematiche (Caino, Giobbe, ma anche Ötzi, la mummia cosiddetta «del Similaun») per testimoniare di una storia vissuta come cartografia del dolore, ragnatela, trappola mortale. Non per nulla al centro della raccolta c’è la presenza iterata del monumento dedicato ai morti.
Dice l’autore in una nota che i cimiteri sono per lui uno straordinario crocevia di storie, specialmente quello genovese di Staglieno. Il poeta fissa dunque l’abisso di dolore delle generazioni e sfoglia «l’albero del male», che rappresenta la condizione stessa della creatura, cacciata dal paradiso terrestre, immersa nella «signoria del lutto». Da questa caduta e da questo esilio, l’uomo non cessa tuttavia di ricordare «la luce del giardino perduto», come dice la scrittura iconica e quasi epigrafica di Rivali. Il nodo di questa poesia è dunque nella polarità tra ustione dolorosa e desiderio che rinasce; tra annientamento, da un lato, e progetto, dall’altro, di una vita che non sia inghiottita dal male sempre risorgente (una sezione è dedicata a Hiroshima, altre alludono a stragi e guerre, in cui a dominare è «la morte in serie»). Esemplari del male fatto e subìto, le figure del libro fissano «il quesito sulla sorgente del buio», mentre continuano a nutrire «azzurra la sete di Dio». Incastonando citazioni (da Celan: «il latte nero»; da Caproni: «forava il muro della terra»; da Luzi: «conoscere per ardore», dall’amato Giampiero Neri: «Spesso era un teatro naturale», senza dimenticare il modello Pound), Rivali scrive una poesia di frammenti strutturati in abbozzo poematico, in cui la vicenda propria e della propria famiglia, generazionale e storica, si confronta con i confini stessi della storia, con l’origine, con il futuro della specie.