Corriere della Sera - La Lettura
SONO STATA VOLPE
re familiare, dolce, come di qualcosa che avevo dimenticato. Quando ero una donna, c’era una torta che amavo preparare: una torta al caffè, una torta variegata caffè e cannella ricoperta da una glassa di zucchero. Era la torta che preparavo quando avevo ospiti, o quando andavo a trovare mia madre nella casa di riposo. Annusando la scatola di plastica, mi sono ricordata di mia madre, nel modo in cui ti ricordi di un sogno la mattina presto, subito appena sveglio.
Si era chiesta perché non ero più andata a trovarla? Le donne della casa di riposo probabilmente avevano telefonato, o forse la compagnia telefonica aveva disattivato la mia linea, così che quando digitavi il mio numero c’erano solo tre note, quel bip rimbrottante. Il numero da lei digitato non è più attivo. Si prega di controllarlo e digitarlo di nuovo.
Le scatole erano per i ratti, che si avventuravano dentro e ne venivano fuori rallentati, gli occhi vitrei. Ne ho ucciso uno ma qualcosa mi ha detto di non mangiarlo. Se lo avessi fatto le cose sarebbero andate diversamente.
Mi sono avventurata più a fondo nella città. Restavo intrappolata in angoli bui, schivavo automobili. Cenavo a base di ratti che non erano abbastanza furbi da sapere che ero una volpe, e che avrebbero dovuto temermi. Forse non avevano mai visto una volpe. Seguivo la traiettoria di aeroplani giganteschi, che si levavano dalla pista di decollo così velocemente che non li sentivi fino a quando non erano già andati via. Ho dovuto attraversare l’autostrada, due volte, per infilarmi in una fessura di una di quelle barriere di cemento progettate per evitare che le automobili che si schiantano precipitino nello spazio. Per fortuna sapevo cosa erano le automobili, e il traffico. Un tempo ero stata una donna.
Ho proseguito, l’autostrada alle spalle, il frastuono del traffico dietro di me. Le automobili hanno lasciato il posto a strade alberate. Il che sembrava meglio.
Sono arrivata in un parco. Anche in un piccolo parco ci sono un mucchio di posti dove vivere. I parchi delle città sono pieni di segreti. Ho deciso di fermarmi.
Ho trascorso l’inverno nel parco. Lì non veniva nesuomo con le trappole. Le uniche persone che venivano erano a passeggio con i loro cani, la mattina presto. Una volpe è molto simile a un cane. Sentivamo i reciproci odori. Avevamo un’intesa, tacita. La natura è una serie di trattati.
Quello per me è stato un buon periodo. Riuscivo vagamente a ricordare la vita che mi ero lasciata alle spalle. O in ogni caso, me la ricordavo a sufficienza da sapere che da volpe stavo molto meglio. Ero soddisfatta.
Tutto è cambiato quando ho visto il ragazzino. Mi ha fatto trasalire. Non è facile cogliere di sorpresa un animale, ma si muoveva senza fare rumore. A sorprendermi è stato il suo odore. Gli adolescenti hanno un odore diverso da quello degli uomini. Il pelo sul collo mi si è rizzato. Ho emesso un ringhio inaspettato, dal fondo della gola.
Il ragazzino aveva guance rosse e capelli che si arricciavano sul collo e sopra il colletto. Mi ha vista, e non si è spaventato.
«Una volpe», ha detto.
Sono corsa tra i cespugli. Ne era passato di tempo da quando qualcuno mi aveva vista. Vivevo a quel modo da così tanto tempo che avevo dimenticato che potevo essere vista. Ho provato qualcosa che, da volpe, non avevo mai provato prima. Ho provato vergogna.
Non so quanto è durata, perché il tempo non era rilevante. Ma ho aspettato, ed è tornato. Alla fine è tornato.
Camminava lentamente, le mani in tasca. Non fischiava, non parlava, guardava e basta. Ed è bastato guardarlo per accorgermi che mi stava cercando. Sapevo come se fossi io stessa a pensarlo che cosa stava pensando: «Qui. Qui una volta ho visto una volpe».
Non poteva vedermi. Mi dava le spalle. Ero su un’altura, dietro di lui, che lo osservavo tra i rami di una siepe macchiata di urina dei cani del parco. L’ho osservato mentre se ne stava lì fermo in piedi, l’ho osservato mentre la sua piccola schiena si contraeva lentamente e di