Corriere della Sera - La Lettura
Viaggiate con me nella Galleria del tempo
Cristiana Collu dirige a Roma la Galleria nazionale e anticipa a «la Lettura» la programmazione del 2021: prima un omaggio alle artiste italiane, poi a Ettore Spalletti, quindi alle architette internazionali. «E molta attenzione all’ambiente e all’abitare». Altra novità: gli archivi acquisiti
Il compito di un museo dedicato alla modernità e alla contemporaneità «non è quello di restituire una posizione enciclopedica universale, che intenda dire le cose una volta per tutte. Noi non poniamo domande retoriche. Nostro obiettivo, semmai, è quello di generare altre domande. Il pubblico ormai lo sa, ci conosce, e si accosta alle nostre proposte con curiosità, senza però sentirsi oggetto di una provocazione, bensì di una sollecitazione continua, fatta di riflessione e coinvolgimento». Parola di Cristiana Collu, dalla fine del 2015 direttrice della Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, museo per il quale a suo tempo ha firmato un nuovo allestimento che ha fatto e fa ancora discutere. Caratterizzato, in estrema sintesi, dall’azzeramento della tradizionale cronologia espositiva: Time Is Out of Joint, ovvero il racconto di un tempo non più lineare, scompaginato, non costruito secondo i criteri della mera successione. «Tanto più ora — dice Collu — in questo strano momento che stiamo vivendo, mi interessa il tentativo di indagare il tempo: tempo cambiato, dilatato, archeologia del presente, passato che preconizza il futuro... Una prerogativa, quest’ultima, tipica degli artisti. Che spesso hanno la capacità di bucarlo, il futuro, intercettando utopie e molto altro».
Una volta si sarebbe chiamata militanza. Collu preferisce parlare dell’«urgenza di mettere il museo in una posizione situata, quella che inevitabilmente sollecita e richiede un’opinione altra, anche divergente». Un museo dunque che vuole andare «oltre la somministrazione classica», raccontando, piuttosto, un pensiero in azione. E non è un caso che la direttrice ami citare, oltre a Giorgio Agamben (per la nozione di tempo), oltre a Giuseppe Ungaretti («M’illumino/ d’immenso», per la capacità degli artisti di «suscitare un’aspettativa di bellezza») anche quel Parti pris, partito preso, titolo di una serie di mostre promosse dal Louvre nei primi anni Novanta con il contributo di pensatori come Jacques Derrida o Jean Starobinski. E a prender «partito» è anche la mostra in corso, appena inaugurata nel museo di Valle Giulia con il titolomanifesto Io dico io, ispirato al pensiero di Carla Lonzi (1931-1982), femminista, teorica e critica d’arte, fondatrice delle edizioni «Rivolta femminile», di cui la Galleria ha da poco acquisito l’archivio.
Una parte di queste carte — foto, copertine, appunti — sono esposte nella rassegna insieme alle opere di 40 artiste, tutte italiane e tutte donne, da Carla Accardi a Carol Rama, da Francesca Woodman a Lisetta Carmi, fino a giovani e giovanissime. Una mostra dalla parte di lei, «che non inventa nuove parole — spiega Collu — ma guarda a fondo in quella che abbiamo, femminismo, presentando modi differenti e singolari di dare corpo a questa istanza».
Io dico io è solo la tappa iniziale di un più ampio programma che il museo ha previsto per questo 2021 e che, per la prima volta e contrariamente a un’abitudine consolidata, la direttrice ha deciso di comunicare in anticipo a «la Lettura». Con un perché: «Il 18 maggio scorso, un lunedì, giorno di tradizionale chiusura — ricorda Collu — fummo il primo museo a riaprire dopo il lockdown. Fu un gesto simbolico, per sottolineare, in quanto luogo pubblico, l’urgenza di non tardare nemmeno di un giorno la sua restituzione alla comunità. La decisione di rilasciare il programma è dettata da un’esigenza simile. Raccontare oggi che cosa faremo significa delineare un orizzonte, un futuro, comunicare una visione. Ritengo sia fondamentale costruire e restituire, nei limiti del ruolo, questo tempo mancato che stiamo ancora subendo. Il senso è: le cose non si sono fermate, avverranno, anche se intermittenti, anche se magari dovremo richiudere. Noi ci siamo».
I temi: ancora donne, l’ambiente, la Terra, l’abitare e l’omaggio a un grande artista, Ettore Spalletti. La mostra, la prima dopo la sua scomparsa nel 2019, si aprirà il 25 ottobre: «Un mese in cui forse avremo rivisto la luce, tema caro a Ettore, speriamo in una felice coincidenza. L’esposizione — racconta Collu — è nata con lui. La stavamo progettando insieme poco prima che ci lasciasse. Ero andata a trovarlo nel suo studio, lui sarebbe dovuto venire in Galleria per vedere gli spazi, ma purtroppo non ha fatto in tempo. Diciamo che è il suo ultimo progetto o forse, in qualche modo, il suo primo. La mostra avrà il carattere di un omaggio, ovviamente, ma non sarà solo questo. L’ambizione è quella di presentare una serie di stazioni, di tappe, che coincidano con i momenti culminanti del poetico cammino di questo artista, maestro di lievità».
A giugno (dal 21, sempre pandemia permettendo) la Galleria presenterà anche la mostra Cosmowomen. Places as
Constellations, curata dall’architetta spagnola Izaskun Chinchilla Moreno: «Dopo le artiste italiane di Io dico io, un’esposizione di sole architette internazionali sul concetto di sfera armillare, di cui vengono presentati tre grandi modelli costruiti in materiali ecosostenibili. Saranno presentati tre luoghi fisici assiomatici, associati alle grandi questioni che stanno cambiando il modo in cui le donne vivo
no il mondo: il gineceo , l’ onsen (le terme,
ndr) giapponese e il parlamento, e chissà come sarebbe stata questa istituzione se pensata e costruita da donne...». La mostra, anticipa Collu, racconterà «luoghi e spazi di convivenza attorno ai quali giovani generazioni di donne propongono nuovi modelli di relazioni con lo spazio, gli esseri umani e il pianeta Terra, entità femminile per eccellenza, di cui tutti, donne e uomini, dobbiamo occuparci. Il tema è ancora l’immaginazione del futuro, dell’abitare, che ci coinvolge in quanto cittadini del mondo».
E donne, ambiente e Terra saranno anche oggetto di riflessione della rassega
Herstory, parola utilizzata nell’ambito femminista e degli studi di genere: una serie di iniziative con cui il museo esplorerà, fino al 2022, «prospettive e sguardi differenti sull’ecologia, la sostenibilità, il paesaggio e la città. L’arte, in dialogo con gli immaginari eco-femministi, ma soprattutto con la ricerca nell’ambito delle environmental humanities».
Un’altra colonna portante dell’imminente programmazione della Galleria sarà la presentazione, con mostre monografiche, degli Archivi che il museo ha acquisito di recente: «Anche in questo caso — spiega Collu — per quanto possa sembrare paradossale a prima vista, lo sguardo è rivolto al presente e al futuro. La nostra idea è di acquisire e restituire, subito, superando il concetto di archiviato come qualcosa di già detto una volta per tutte. Con questo spirito mostreremo per la prima volta al pubblico l’acquisto recente forse più importante: carte, foto e biblioteca di Anton Giulio Bragaglia».
Grande protagonista della stagione delle avanguardie, futurista, fondatore della rivista «Cronache d’attualità», della galleria Casa d’arte Bragaglia, del Teatro degli Indipendenti, regista, critico, saggista, sperimentatore e teorico, con i fratelli Arturo e Carlo Ludovico, del fotodinamismo, Bragaglia (1890-1960) sarà oggetto di quello che Collu annuncia come «una sorta di carotaggio, con tante sorprese, dentro il mondo di un genio poliedrico e a tutto tondo». Un «carotaggio»
attraverso copioni, lastre fotografiche, scritti, manifesti e documenti...
Dal Futurismo all’(anti) fashion: un altro archivio, donato ai fondi del museo, sarà protagonista dall’8 novembre della mostra Bianca e Blu. La moda secondo
Monica Bolzoni. A partire dal nome del brand milanese, «femminile e maschile al tempo stesso», l’esposizione seguirà il percorso di questa stilista, pioniera dagli anni Settanta della modularità, del recupero del passato, della moda-design: «La progettazione del futuro — sottolinea Collu — passa anche per ciò che si indossa. E Monica nel suo campo è stata una visionaria, una sovversiva, una geniale perdente, se mi si passa il termine. Una donna capace di sottrarsi alle logiche del capitalismo compiendo scelte inusuali per un settore come la moda, ovvero immaginare abiti per sempre, in contrasto con l’eccesivo consumismo, vestiti non per apparire ma per essere».
Prima del focus su Bolzoni, dal 28 giugno la mostra Reflections. Dino Gavina,
l’arte e il design indagherà l’universo di un altro «sovversivo», come lui stesso amava definirsi: «Gavina, oltre che designer fu un imprenditore illuminato. Per lui arte e produzione industriale dovevano camminare insieme. La mostra, oltre a oggetti di design nati con Gavina Spa, Simon e Flos, racconterà le relazioni che seppe tessere con artisti e architetti nell’Italia del secondo Novecento».
Infine, in autunno, una mostra su Franco Nonnis (1925-1999), pittore e scenografo per il teatro e per l’associazione per la musica contemporanea Nuova Consonanza, e due omaggi ad altrettanti protagonisti della Scuola Romana: Emanuele Cavalli (1904-1981), del quale sarà indagata anche la meno conosciuta attività di fotografo; e Antonietta Raphaël (1895-1975): l’antologica, dal titolo Allo
specchio, ripercorrerà l’intero percorso, dalla produzione giovanile alle sculture, di questa artista da sempre sensibile ai temi del femminile: mito, maternità, infanzia, ascendenze bibliche.