Corriere della Sera - La Lettura
C’è Shakespeare nel carcere africano
«La nuit des rois» è tra i 15 titoli che lunedì si giocano la nomination agli Oscar per il miglior film internazionale e apre il 20 il Festival milanese del Cinema africano, d’Asia e America Latina. Ne abbiamo parlato col regista, l’ivoriano Philippe Lacô
ALa Maca, centro di detenzione di Abidjan nel mezzo della foresta ivoriana, arriva un giovane condannato. La prigione è governata da un detenuto, Barbe Noire. Ma il Dangôro, il capo supremo, è malato, non può più comandare. La lotta per la successione è già iniziata. Per la legge della Maca il «re» deve togliersi la vita. Prima di morire però impone al nuovo arrivato il ruolo di Roman: dovrà narrare una storia che arrivi fino al mattino — anche per tardare lo scoppio delle violenze — o verrà ucciso.
Presentato lo scorso settembre nella sezione Orizzonti della Mostra di Venezia, il film La nuit des rois rappresenta la Costa d’Avorio agli Oscar. È tra i 15 titoli che lunedì 15 marzo si giocano la nomination come miglior film internazionale. Prodotto con Francia e Canada, non ha ancora una distribuzione italiana. Il 20 marzo apre il 30° Festival del Cinema africano, d’Asia e America Latina, rassegna milanese quest’anno online. «La Lettura» ne ha parlato via Zoom con il regista Philippe Lacôte appena tornato a Parigi da Abidjan, le città dove vive e lavora.
Come è nato «Le nuit des rois»?
«È stato un amico a raccontarmi del rituale del Roman, “romanzo” (la parte dell’uccisione l’ho aggiunta io). A questo si unisce un ricordo personale: mia madre è stata incarcerata a La Maca per ragioni politiche. Ero piccolo e andavo a trovarla in un taxi collettivo. È una prigione molto aperta, i visitatori possono stare tra i detenuti. Di questo luogo così particolare ho voluto fare il primo personaggio del film. Osservo la prigione come una società con i suoi codici e le sue leggi».
Dove avete effettuato le riprese?
«Gli esterni della prima scena li abbiamo girati nei pressi della Maca, il resto in due edifici a Grand-Bassam, vicino ad Abidjan. Volevo essere il più possibile autentico: i disegni e le scritte che si vedono sui muri vengono da varie prigioni, e tra le comparse ci sono 25 ex detenuti».
Il cast è molto variegato.
«Ci sono attori africani noti come Rasmané Ouédraogo, Issaka Sawadogo, Abdoul Karim Konaté e, con loro, i francesi Denis Lavant (Holy Motors) e Steve Tientcheu (I miserabili). Ma anche attori giovani e non-attori: Bakary Koné, il Roman, è alla prima esperienza. In due anni di casting in Costa d’Avorio abbiamo trovato 40 giovani attori, danzatori, cantanti, lottatori di arti marziali. Dopo due mesi di workshop sapevamo cosa sarebbe dovuto accadere attorno al nostro narratore».
Il film si svolge nell’arco di una notte: la notte di luna rossa. Il Roman narra di Zama King, capo dei «microbes» giovani criminali che terrorizzano Abidjan. Prima la morte e poi la nascita, forse al tempo dei re e delle regine: la storia di Zama King si intreccia al mito e alla storia recente della Costa d’Avorio: la guerra civile, l’arresto dell’ex presidente Laurent Gbagbo nel 2011... E i frammenti del racconto sono interrotti da ciò che accade nella prigione.
«La scelta di porre al centro un narratore è un omaggio alla tradizione orale africana. In Africa Occidentale i griot, uomini o donne, sono allo stesso tempo poeti, cantori e storici. Per noi eventi storici, poesia, mitologia sono strettamente connessi. Per questo il racconto del Roman unisce passato, presente, leggende, sogni, conflitti politici: lavoro sempre in equilibro tra realtà e magia».
La Maca è strutturata come nel film?
«È stata davvero governata da un prigioniero: Yakou le Chinois, un gangster ivoriano che nel 2011 ha preso parte alla rivolta militare, poi condannato per omicidio. La legge per cui il Dangôro malato debba togliersi la vita è finzione. Volevo sottolineare l’importanza del corpo per i prigionieri: salvaguardano i loro corpi immobili e quindi non vogliono un capo il cui corpo sia malato».
«La nuit des rois» è il titolo francese de «La dodicesima notte» di William Shakespeare.
«Se si parla di potere il riferimento a Shakespeare è naturale. La prigione è come un regno, con un re e persone che vogliono prendere il comando. Attorno alla storia del Roman ruotano altre vicende, la lotta per il potere già in corso al suo arrivo. Il film è metafora dei conflitti che da oltre 20 anni attraversano la Costa d’Avorio, ma anche del potere in generale, di cui volevo osservare il meccanismo».
Il racconto del Roman si fa racconto collettivo, coinvolge tutti i detenuti.
«All’inizio è solo, ma poi tutti partecipano al suo racconto con danze, canti, performance: la narrazione permette ai detenuti di evadere con la mente».
Verso il finale, la macchina da presa si sofferma su una scritta: «Se Dio dice sì, nessuno può dire no!». Un riferimento alla religione?
«L’ho letta in una prigione in Sierra Leone. Si riferisce al destino. In Costa d’Avorio il 70 per cento della popolazione ha meno di 40 anni. Quando vivi in un luogo in cui tutto è difficile, ti sembra di non avere il controllo, che tutto dipende da qualcosa di esterno: il destino».
Dopo «Run» (2014), «La nuit des rois» è il suo secondo film che rappresenta la Costa d’Avorio agli Oscar. Prima c’era stato solo «Bianco e nero a colori» del francese Jean-Jacque Annaud che nel 1977 vinse la statuetta. Cosa significa per lei e per il cinema ivoriano?
«È una grande opportunità. L’Africa viene esclusa dai discorsi politici, economici e anche nel cinema vogliamo essere presenti. In Africa Occidentale abbiamo molte storie nuove. È arrivato per noi il momento di raccontarle».
Cosa serve oggi al cinema africano?
«In Africa servono sale e accesso allo streaming per raggiungere il pubblico interno. Servono poi produttori e registi che sappiano rendere le nostre storie universali. Il Roman di La nuit des rois è come la Shahrazad delle Mille e una notte. La sua vicenda, la riflessione sulla narrazione come antidoto alla violenza, è una questione in cui tutti, in ogni parte del mondo, si possono riconoscere».