Corriere della Sera - La Lettura
Chi alimenta all’Est la spirale tossica del complottismo
Anne Applebaum: in Polonia e Ungheria (ma anche negli Usa) molti intellettuali hanno sposato progetti reazionari
Il tramonto della democrazia inizia con un party. Anne Applebaum, giornalista e saggista statunitense naturalizzata polacca, dà una festa in Polonia, il 31 dicembre 1999. Ci sono giornalisti stranieri e giovani diplomatici in servizio a Varsavia — racconta nel suo libro appena uscito con Mondadori — ma la maggior parte sono polacchi, amici e colleghi di suo marito Radek Sikorski, allora viceministro degli Esteri in un governo di centrodestra. «La maggior parte di noi avrebbe potuto essere ascritta alla categoria di quella che i polacchi chiamavano la destra: i conservatori, gli anticomunisti». Vent’anni dopo, molto è cambiato: la destra si è spaccata, metà di quelle persone non si parlano più tra loro, un po’ come accadde nei salotti parigini divisi dall’affare Dreyfus a fine Ottocento descritti da Marcel Proust in Alla ricerca del tempo perduto .«È stato uno di quei momenti di cambiamento intellettuale che avvengono ogni generazione o due, che distruggono amicizie e mutano la società», spiega Applebaum. «La Polonia ormai è una delle società più polarizzate d’Europa, e abbiamo finito per trovarci sui lati opposti di una profonda linea di divisione che attraversa non solo quella che era la destra polacca, ma anche la vecchia destra ungherese, la destra spagnola, la destra francese, la destra italiana e, con qualche differenza, anche le destre britannica e americana». Diversi vecchi amici di Applebaum si sono uniti a Diritto e Giustizia, uno dei due partiti illiberali che sono al potere in Europa; l’altro è Fidesz di Viktor Orbán in Ungheria. Ma l’autrice sottolinea che non è un problema dell’Est legato all’eredità del passato. «In Italia e in Francia avete partiti che al potere si comporterebbero allo stesso modo, come pure ha fatto l’ex presidente americano. Magari in certi Paesi ci sono guardrail della democrazia più forti, in grado di evitare che prendano il potere o, una volta al governo, distruggano il sistema, ma l’impulso è simile».
I protagonisti del libro sono i moderni «chierici», membri dell’élite intellettuale che si mettono al servizio dell’estrema destra. Come Jacek Kurski, direttore della tv di Stato polacca. O la storica Mária Schmidt in Ungheria. O Dominic Cummings, stratega di Boris Johnson a Londra.
«Il mio libro parla soprattutto di giornalisti, spin doctor, gente che fa propaganda e scrive discorsi per l’estrema destra, perché sono persone che conosco e di cui posso raccontare le motivazioni: la delusione personale o filosofica per il sistema politico in vigore e gli incentivi che avevano per cambiarlo».
Alcuni di questi intellettuali sono nostalgici del passato, altri usano cinicamente la nostalgia a scopi politici.
«Ci sono persone come Boris Johnson che non credono in niente, ma anche intellettuali come il filosofo Roger Scruton convinto davvero che il mondo moderno stesse andando nella direzione sbagliata, con una profonda perdita di identità nel processo di modernizzazione e di inurbamento. Ed è vero: ci sono sofferenze legate alla modernizzazione.
Ma poi ci vuole qualcuno come Cummings o come Mária Schmidt che prova a manipolare angoscia e disagio a vantaggio di un movimento politico basato sulla nostalgia reazionaria e restauratrice. Questo sentimento non è nuovo, si manifesta intensamente in momenti di rapido cambiamento».
Lei spiega che coloro che perseguono il potere facendo leva sulla nostalgia restauratrice iniziano coltivando teorie del complotto.
«Esatto. In Polonia la teoria del complotto è basata sull’incidente aereo del 2010 a Smolensk, in Russia, in cui morì l’allora presidente Lech Kaczynski, fratello gemello di Jaroslaw, ora leader del partito dominante, mentre andava al memoriale di Katyn, dove migliaia di ufficiali polacchi vennero uccisi dai sovietici nel 1940. L’aereo si schiantò sulla pista nella nebbia per un errore del pilota. All’inizio Diritto e Giustizia accettò che fosse un incidente, poi cambiò idea e rilanciò varie teorie: erano stati i russi, l’ex Kgb, forse il governo di Varsavia, allora guidato da un altro partito di centrodestra; forse una bomba. Quel che conta è che ci hanno creduto tra un quarto e un terzo dei polacchi. E ciò significava credere che tutte le istituzioni del Paese mentissero: il governo, la polizia, l’esercito. Era un modo efficace di minare la fiducia nel sistema. È molto simile a come Donald Trump è entrato in politica cavalcando la teoria cospirativa del birtherism, cioè che Obama non fosse nato in America, ma in Kenya, e dunque fosse un presidente illegittimo. Il 25-30% degli americani ci crede. Quando hai convinto ampie percentuali di popolazione con teorie del complotto e dell’illegittimità dello Stato, hai posto le basi perché un partito antisistema e antidemocratico prenda il potere. Ed è quello che è successo. Lo so che pare strano, perché hanno così poco in comune, ma quel che è accaduto negli Stati Uniti e in Polonia è simile. Quanto all’Ungheria, Orbán ha iniziato a creare cospirazioni quando era già al potere, all’inizio con elezioni regolari. Lo ha fatto per screditare l’opposizione sia di sinistra che liberale. Ha coniato l’espressione “sinistra liberale” come se non ci fosse differenza tra loro. George Soros, ungherese ed ebreo, ha una fondazione che ha promosso la democrazia liberale, grazie alla quale Orbán ha studiato a Oxford. Circolavano ovunque, anche a terra in metropolitana in modo che fossero calpestate, immagini di Soros, accusato di portare i musulmani in Europa per distruggere l’Ungheria. Ora la teoria del complotto basata sul legame tra ebrei e musulmani per facilitare l’immigrazione viene ripetuta da tutta l’estrema destra nel continente: è potente perché riecheggia l’antisemitismo storico e le paure contemporanee dell’islam radicale. Fornisce qualcuno da incolpare a chi teme danni legati alla modernizzazione».
Tornare alla democrazia è possibile?
«In Polonia è ancora possibile una via d’uscita democratica: le elezioni parlamentari tra due anni. Anche in Ungheria c’è una coalizione dei partiti di opposizione, ma la domanda è: se battuto, Orbán lascerà il potere? Io sospetto di no».