Corriere della Sera - La Lettura

Padre e figlio: incroci di patrie per ritrovarsi

- di MARCO BRUNA

Le parole di un padre e di un figlio danno forma a un mondo relegato in una stanza buia della memoria. Quel mondo si chiama Siria e riaffiora attraverso i ricordi di Mohamed e Shady Hamadi, autori di La nostra Siria

grande come il mondo (add editore, pp. 160, € 16), che nasce dal desiderio di ritrovarsi dopo anni in cui il dialogo era limitato «all’indispensa­bile». È come se padre e figlio si fossero trasformat­i l’uno nel filtro attraverso cui narrare la storia dell’altro. Il libro è diviso in 10 capitoli, 5 scritti da Mohamed e 5 da Shady, ed è il tassello finale di una trilogia cominciata con La felicità araba (2013) e proseguita con

Esilio dalla Siria (2016, entrambi usciti da add e scritti solo da Shady).

Ciò che ha allontanat­o Mohamed e Shady è un segreto doloroso. Un giorno, Mohamed decide di liberarsi di quel peso: «Sono stato torturato», confessa al figlio. Mohamed Hamadi (1943), primo di 9 fratelli, ci racconta la sua vita in Siria e l’esilio che lo ha costretto a vagare per il Medio Oriente, fino al trasferime­nto in Italia, a Lucca e poi a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano. Ci mostra il luogo in cui è nato, Talkalakh, villaggio al confine con il Libano. Condivide con noi i racconti dell’infanzia. Le pagine dedicate al suo attivismo politico — le esperienze alle scuole superiori, a Homs, le letture di Gramsci, Trotsky e Marx, il carcere e le sevizie inflitte dal regime di Assad — sono le più dense e drammatich­e: il primo arresto «durò cinque giorni, giorni di botte e di torture e a nulla valse il fatto che ero un ragazzino».

Per Shady ripercorre­re la storia del padre significa guardare dentro di sé. Shady è nato in Italia, nel 1988.

Sua madre, Grazia, era italiana: Mohamed si trasferì nel suo appartamen­to di Sesto San Giovanni, dove abita ancora oggi. I genitori si sono sposati con rito civile il 15 gennaio 1993. Anche nei capitoli narrati da Shady affiorano ricordi dolorosi, come la morte della madre, nel 2008, e le sfide di un «ragazzino che non aveva intuito subito la sua diversità rispetto ad altri compagni di scuola». «Mamma, ma io di che religione sono?», chiede un giorno Shady a Grazia. Troverà le risposte attraverso l’esperienza del Ramadan e i viaggi in Siria, la lingua araba e la letteratur­a mediorient­ale, nella scelta di emigrare a Londra, perché in Italia i freelance come lui vivono di un precariato asfissiant­e. Poi l’attivismo politico, l’incontro con la moglie Nadia e la nascita di Matilde che hanno «restituito una famiglia».

Nel libro c’è spazio anche per una riflession­e sulle Primavere arabe («un’ora d’aria in una terra che è e rimarrà a lungo una prigione»), per un affresco del Paese che ha accolto Mohamed (nel 1976 Milano era «bellissima ma pareva coperta da una cappa di grigio che si mangiava anche le facciate dei palazzi») e della sua scena politica (nel 2002 Mohamed Hamadi è stato eletto consiglier­e comunale per il centrosini­stra a Sesto San Giovanni, «il primo di origine straniera»). Un padre e un figlio con «la Siria cucita addosso» si riabbracci­ano e provano a scacciare i fantasmi.

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