Corriere della Sera - La Lettura

Lo sport del vedovo e delle figlie

Tre bambine di origine indiana a Londra perdono la madre, il papà reagisce al dolore spingendol­e a dedicarsi fino allo stremo allo squash e al badminton. Per amore, solo per amore. L’esordio di Chetna Maroo, finalista al Booker Prize

- ANTONELLA LATTANZI

«Edi

ravamo in tre, tutte femmine. Alla morte di mamma io avevo undici anni, Khush tredici, Mona quindici. Giocavamo a squash e a badminton due volte alla settimana da quando eravamo abbastanza grandi per impugnare la racchetta, ma non era nulla in confronto al regime che sarebbe arrivato dopo». Dopo è il momento successivo alla morte della madre, il momento in cui le tre adolescent­i rimangono sole con il padre, che le ama, e moltissimo, che ha sempre amato sua moglie, tanto da non sapere, all’inizio, che la perdita aprirà uno squarcio così grosso dentro di lui che avrà paura di impazzire; ma non sa da dove partire per crescere tre adolescent­i. Ma la comunità indiana a cui appartiene si è mossa prima di lui, e zia Ranjan e zio Pavan (ma soprattutt­o zia Ranjan, che ha tanto desiderato dei figli e non li ha mai avuti) chiedono con insistenza a Pa di far trasferire da Londra, dove vive la famiglia, a Edimburgo, da loro, una delle bambine.

Sostengono infatti che senza la madre sono diventate delle selvagge. Pa diventa di pietra, non deve nemmeno pronunciar­e una parola per dire di no. Le sue figlie tirano un sospiro di sollievo ma allo stesso tempo Pa non ha le parole per aiutarle nel lutto, per dirgli che ha sempre voluto bene a ognuna delle tre, che sua moglie gli manca così tanto che non sa se riuscirà a continuare a vivere.

Quanto ho appena scritto di T (in uscita per Adelphi nella traduzione di Gioia Guerzoni), fulminante esordio di Chetna Maroo, autrice anglo-indiana, finalista del Booker Prize, spero serva a dare le coordinate emotive di questa storia così vera, così vicina a ognuno di noi. Sembra di entrarci e trovarvi il mondo che abbiamo vissuto, le emozioni che stiamo vivendo, fuori dal libro, proprio in questo momento. Pa, che porta le figlie a giocare a squash da sempre, triplica, quadruplic­a gli allenament­i di colpo. Se non sono a scuola, le figlie devono allenarsi fino allo sfinimento. Anche il sabato e la domenica. Loro, ubbidienti, lo fanno: «Una mattina si sedette vicino a noi sulla panchina fuori dal campo da squash e dichiarò: “Vorrei che vi appassiona­ste a qualcosa che potrete fare per tutta la vita”». E ancora — questo invece lo dice Gopi, io narrante del romanzo —: «Quando sei in campo durante una partita, in un certo senso sei solo. E è così che dovrebbe essere. Devi trovare una via d’uscita. Devi scegliere i colpi e crearti lo spazio di cui hai bisogno. Devi difendere la T. Nessuno può aiutarti. Nessuno può concentrar­si per te o aver paura di perdere al posto tuo. Eppure, a volte accade il contrario. In campo, tutto ti sembra di essere fuorché solo».

All’inizio della lettura di T, ho pensato naturalmen­te a film come King Richards di Reinaldo Marcus Green, in cui un ex atleta allena le sue tre figlie tutti i giorni perché diventino campioness­e, e a libri come Open di

Traduzione di Gioia Guerzoni ADELPHI Pagine 148, e 18 In libreria dal 23 aprile

L’autrice Nata in Kenya da genitori indiani, la britannica Chetna Maroo (1972) ha esordito l’anno scorso con il romanzo T (il titolo originale è Western Lane, edito da Farrar, Straus and Giroux), entrato nella shortlist del Booker Prize (2023) I giochi Sport codificato nel 1860 e popolare nelle ex colonie britannich­e, il badminton consiste nel colpire con la racchetta un volano per fargli superare una rete alta circa un metro e mezzo e mandarlo nella metà campo opposta, dove dovrà essere ribattuto al volo dall’avversario. Giocato in singolo e doppio, maschile e femminile, è sport olimpico dal 1992. Anche lo squash, codificato nel 1923 (sarà sport olimpico dal 2028) si gioca con la racchetta e la palla (di gomma) in un campo senza rete e circondato da quattro pareti: chi gioca si alterna nel colpire la palla verso una fascia sulla parete di fondo e può rimbalzare sulle pareti (shuttlecoc­k,

Andre Agassi. E mentre, in T, vedevo questo padre letteralme­nte prostrare di allenament­i le figlie perché era l’unico modo che conosceva per aiutarle a ritrovare un senso (o per aiutare sé stesso ad avere un ruolo, a non impazzire), mi tornava continuame­nte alla mente il capolavoro autobiogra­fico di Agassi, capace di raccontare anche a chi di tennis non sa nulla la natura più profonda, bifronte, interdipen­dente e anche violenta di un rapporto padre-figlio, la devozione totale e tragica allo sport come unico modo per eccellere, le cadute, le vittorie e le sconfitte, il sudore.

T e Open hanno dei punti in comune che riguardano proprio il rapporto dei padri coi figli, e riescono entrambi a raccontarl­o paradossal­mente dentro lo sport ma scavalcand­o lo sport. Come Open, anche T racconta di una persona particolar­e, lì un ragazzo qui una ragazza, Gopi, molto dotata, che si distingue subito in mezzo agli altri. In entrambi, sentiamo il dolore fisico e la fatica degli allenament­i, grazie a una lingua e uno stile che hanno ricercato a lungo ogni parola.

Gopi però, a differenza di Agassi, è a tratti prigionier­a della comunità indiana a cui appartiene. Sono loro a commentare il fatto che Pa fuma delle sigarette con una donna bianca, loro a commentare che Gopi gioca con un ragazzo bianco, di cui forse è innamorata. Sarebbero loro a commentare se un’altra delle sorelle, Mona, frequentas­se un pakistano.

E così mentre crescono, mentre hanno le prime mestruazio­ni, mentre il viso di una loro si addolcisce e diventa sempre più uguale a quella della mamma, mentre sempre di più a tutte e tre dispiace non aver mai imparato come si deve la lingua della loro madre, che per lo più comunicava con loro con la vicinanza dei corpi, come succede nella vita vera proprio mentre cercano di elaborare il lutto per la madre, queste ragazze e anzi tutti i personaggi di questo romanzo si innamorano, litigano, per una volta pensano a sé stessi, fanno a botte nel fango, si odiano, si amano.

Esiste la vita dopo l’amore? Tu ci credi?

È questa la domanda principe di T, dei personaggi di T, anzi, che sembrano continuare a chiedere cos’hanno fatto, loro, perché la madre sia morta, cos’hanno fatto, loro, perché il padre sia sempre più magro e triste, continuano a chiedere di espiare le proprie colpe, di venire perdonati, di venire salvati. Nessuno può salvarti, e nessuno può perdonarti se non ti perdoni prima tu, nessuno può rimetterti le colpe se prima non ti accorgi di quante colpe che non erano tue ti sei incollato addosso. Nessuno, lo dice l’io narrante Gopi: sei solo nel tuo campo, solo nella tua partita, «eppure, a volte accade il contrario. In campo, tutto ti sembra di essere fuorché solo», e infatti, proprio quando Gopi capisce che non è più sola, «con la sensazione di essere stata salvata alzai la racchetta e servii».

Romanzo fatto di una lingua precisa, cadenzata, ritmata, che si intesse con la trama e i personaggi e si fa protagonis­ta insieme a loro, T regala piccoli squarci di poesia, come il rumore del gas nelle tubature — o è la madre che vuole comunicare con le figlie? —, un canebestia di cui aver paura quando sei triste e che non ti farà alcun male quando sei felice, e cieli bui e stellati. Ma, soprattutt­o, è capace di raccontare, in ogni sua forma e suo errore, l’amore.

 ?? ?? L’immagine Claes Oldenburg (Stoccolma, 1929 - New York, 2022) e Coosje van Bruggen (Groningen, Paesi Bassi, 1942 - Los Angeles, 2009), Shuttlecoc­k (1994, alluminio, plastica, fibra di vetro e vernice), Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City (Stati Uniti), Donald J. Hall Sculpture Park (© Estate of Claes Oldenburg and Coosje van Bruggen). L’opera rappresent­a un volano da badminton in inglese)
L’immagine Claes Oldenburg (Stoccolma, 1929 - New York, 2022) e Coosje van Bruggen (Groningen, Paesi Bassi, 1942 - Los Angeles, 2009), Shuttlecoc­k (1994, alluminio, plastica, fibra di vetro e vernice), Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City (Stati Uniti), Donald J. Hall Sculpture Park (© Estate of Claes Oldenburg and Coosje van Bruggen). L’opera rappresent­a un volano da badminton in inglese)
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