I segreti del garzone di bottega che fece innamorare Leonardo
Furti e opere di Gian Giacomo Caprotti di Oreno nel laboratorio del maestro
VIMERCATE Lo annotò nei suoi appunti, Leonardo da Vinci: «Iacomo venne a stare con meco il dì della Maddalena nel mille 490, d’età d’anni 10». Il dì della Maddalena era il 22 luglio. Quello «Iacomo» era Gian Giacomo Caprotti, garzone di bottega. Arrivava da Oreno di Vimercate. Iacomo, per vent’anni rimase accanto al maestro, lo accompagnò nei suoi viaggi, divise giorni, fortuna e destino.
Tanto che al Must, il Museo del territorio di Vimercate, una sala è dedicata interamente a loro due, insieme: immagini, dipinti che scorrono sullo schermo multimediale, appunti trascritti, che tracciano momenti della storia del brianzolo che più di tutti fu l’ombra del grande pittore. Una relazione che dal lavoro sconfinava anche nell’affetto, nella consuetudine, nella protezione. Sì perché Gian Giacomo, scrisse Leonardo, arrivò «ladro, bugiardo, ostinato, ghiotto». Da ragazzino rubò denaro dalla sua scarsella e si guadagnò il soprannome di «Salaì» (Salaino), da grande curò gli affari del maestro mischiandoli ai suoi, imparò da lui a dipingere, ebbe in eredità una vigna, morì ucciso da un colpo di schioppo nel gennaio del 1524.
Poche le informazioni su quell’allievo bellissimo che spesso fu scelto da Leonardo come modello per i suoi quadri, ma ora un libro edito da Bellavite racconta di Gian Giacomo: un romanzo storico che sarà presentato domani, alle 17.30 al Must. «Salaì, l’altra metà di Leonardo», il titolo. Michele Mauri, appassionato cultore di storia locale, l’autore. Studi e ricerche durati anni, per scrivere un romanzo storico in cui «ci son fatti certi, tante suggestioni, un po’ di fantasia». Con uno scopo, prima di tutto: «Sostenere il lavoro — spiega Mauri — di chi desidera restituire al Caprotti di Oreno il suo posto nella storia, sottraendolo ad un destino capriccioso che continua a gettare nebbie sulla sua vita. Il garzone che si trasformò in allievo favorito fu l’unico a rimaner vicino al maestro per lungo tempo, l’unico a seguirne il peregrinare tra le corti rinascimentali. Il solo che conobbe la parte più intima e minuta del mito. Salaì fu interprete di Leonardo che propagò le invenzioni leonardesche ad un’intera generazione di pittori lombardi. Eppure a lungo lo si è ignorato o lo si è dipinto solo come un servitore infedele».
Il Must per primo ha dato rilievo a Gian Giacomo Caprotti, «ma molto ancora si potrebbe fare — prosegue Mauri —. Si potrebbe ad esempio capire se quella Gioconda, citata in un inventario dei beni di Gian Giacomo nel 1525 sia davvero la Gioconda che tutti conosciamo, oppure una copia di pregio». O ancora si potrebbe far giustizia di falsi storici: Palo Morigia, studioso cinquecentesco, confuse Salaì con Andrea Salimbeni da Salerno, allievo di Cesare da Sesto, dando vita ad un inesistente Andrea Salaino, allievo di Leonardo. «E Milano — conclude Mauri — continua a dedicare ad Andrea Salaino una strada e ad indicarlo tra i quattro allievi che formano corona al maestro nel monumento in piazza della Scala». Il Comune di Vimercate chiese formalmente anni fa alla città di Milano di correggere l’una e l’altro. Invano.