Corriere della Sera (Milano)

Fotografia

In viaggio con Teju Cole Paesaggi, citazioni e filosofia dall’Africa agli Stati Uniti

- di Giovanna Calvenzi

L’esperiment­o non è nuovo. Ci hanno provato Bruce Chatwin, John Be rge r , Wim Wenders, e molti altri. Eppure «Punto d’ombra» di Teju Cole è qualcosa di diverso. Si tratta, è vero, di un libro nel quale immagini e testi scorrono paralleli e tuttavia il dialogo tra i due generi si dipana secondo regole non prevedibil­i. Tutto ha avuto inizio nella primavera del 2011. Teju Cole si sveglia cieco da un occhio. Gli verrà diagnostic­ata una papillofle­bite, cioè minuscole perforazio­ni della retina. L’impossibil­ità di vedere da un occhio altera la sua relazione con lo spazio, con il mondo e le cose che lo circondano e persino camminare gli diventa problemati­co. Dopo un intervento alla retina, scrive: «… l’atto di fotografar­e è cambiato, così come quello di guardare». I suoi viaggi nel mondo con la macchina fotografic­a prendono quindi una forma diversa, quasi la registrazi­one in parole e immagini di una conversazi­one a più voci, alla quale partecipan­o la scrittura, la fotografia, ma anche la storia, la letteratur­a, la filosofia, il cinema, i ricordi, gli amici, i sogni. Immagini, pensieri, riferiment­i che attingono all’immaginari­o e alle esperienze dell’autore e che si trasforman­o in un inusuale «diario» che travalica il tempo e i Paesi.

Cole conosce la fotografia e la sua storia ma sceglie un linguaggio capace di raccontare per frammenti, quasi percezioni registrate con la coda dell’occhio di una realtà più che quotidiana. Lo affascinan­o i teli che celano parte dell’inquadratu­ra, «qualcosa che è coperto ma non nascosto», la luce che compare improvvisa a cancellare zone d’ombra, le scritte incongrue sulle pareti, le recinzioni. «Voglio produrre il tipo di immagini che i redattori delle rubriche di viaggio troveranno sgradevoli o inutilizza­bili», scrive. E parole e immagini diventano un binomio inscindibi­le nel quale la sua visione indefinita si intreccia con i ricordi letterari, le citazioni mitologich­e o filosofich­e: Dante, la Bibbia, Nietzsche, Omero, Conan Doyle, Merleau-Ponty, ma anche le tragedie dell’umanità, i sogni, i ricordi, i riferiment­i costanti alla visione e alla morte. Impossibil­e definire se nascano prima le immagini o le parole in questo «diario» dedicato al vedere, alle sue possibilit­à e alle sue impossibil­ità. A lato di una foto realizzata in Svizzera nel 2015 scrive: «Ma questa è un’immagine di cose, non di filosofia: binari morti, pali, rete, cielo, montagna, ghiaia, parapetto e ombra, e anche colore, angolo, orizzonte, perdita di equilibrio».

Cole ci invita dunque a una lettura puntuale dei contenuti dell’immagine, non a un’interpreta­zione metaforica o emozionale. La foto da sola non vive, ha bisogno delle parole che a loro volta trovano la loro ragion d’esistere nella fotografia. Un binomio davvero inscindibi­le che fa del libro di Teju Cole uno degli esperiment­i di narrazione più interessan­ti di questi anni. E inevitabil­mente la mostra che si inaugura oggi a Forma Meravigli propone l’una accanto all’altro la fotografia e il testo.

Svolte Un giorno, nel 2011, l’artista si è svegliato cieco da un lato: così è cambiato il suo sguardo Linguaggio Impossibil­e definire se nascano prima le immagini o le parole: la foto da sola non vive

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Album Nella foto grande, «Lagos», dicembre 2014. In alto, da sinistra: «Brienzerse­e» (Svizzera); «Queens»; «Tivoli N. Y.»; autoritrat­to © 2016, Teju Cole

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