Hosni, nessun pentimento davanti al giudice
Controllati gli accessi web. «Capace di intendere e volere»
Internet point, phone center o cellulari presi in prestito. S’indaga per capire come l’aggressore della Stazione Centrale, il 20enne italo-tunisino Ismail Tommaso Ben Youssef Hosni, si collegasse a Internet. Dalle prime indagini sarebbero emersi una serie di locali che potrebbero chiarire su quali siti navigasse il ragazzo che a oggi resta indagato per terrorismo internazionale.
Phone center e Internet point. Ma anche chiunque possa aver prestato un cellulare o un computer per permettere a Ismail Tommaso Hosni di collegarsi in Rete. Il profilo Facebook dell’accoltellatore della Centrale è rimasto attivo anche nel periodo in cui il giovane già viveva in strada, nel furgone trovato a Quarto Oggiaro, senza acqua né luce.
Per questo gli esperti informatici della Procura sono al lavoro per scoprire i «punti di accesso» al profilo utilizzati dal 20enne. E dalle prime indagini sarebbero emersi una serie di Internet point che ora sono sotto la lente degli investigatori. Non perché vi sia il sospetto di un loro coinvolgimento nella (presunta) radicalizzazione di Hosni, ma piuttosto perché potrebbero aver conservato i dati delle navigazioni del giovane. Elementi decisivi per l’inchiesta condotta dai magistrati Alberto Nobili e Alessandro Gobbis che lo vede indagato per terrorismo internazionale.
Venerdì i pm dovrebbero interrogarlo sui suoi rapporti con il libico Ahmed Jbali. Fuori verbale Hosni si sarebbe giustificato per i video dell’Isis «postati» sul profilo del social network dicendo che si trattava solo di «curiosità». Gli inquirenti dell’Antiterrorismo della Digos dovranno chiarire se il 20enne, in carcere da giovedì per tentato omicidio e resistenza, abbia anche «frequentato» piattaforme virtuali usate dai sostenitori dello Stato islamico per diffondere materiale di propaganda o «indottrinare» aspiranti soldati.
Ieri il gip Manuela Scudieri ha convalidato l’arresto e disposto la custodia cautelare in carcere. Un provvedimento atteso, anche se il difensore di Hosni, l’avvocato Giusy Regina, aveva chiesto di eseguire immediatamente una perizia psichiatrica sul giovane, ancora sorvegliato a vista nel centro clinico di San Vittore. Per il giudice però «non ci sono dubbi sulla capacità di intendere e volere».
Durante l’interrogatorio di domenica mattina in carcere Hosni aveva risposto a diverse domande e aveva raccontato le tappe principali della sua vita: dal trasferimento in Tunisia all’età di due anni e mezzo dopo l’arresto della madre, fino al ritorno nel 2015 e all’arresto Il profilo Facebook era attivo anche nel periodo in cui il giovane già viveva in strada per droga (insieme al libico Jbali, «attenzionato» dai servizi segreti perché sospetto jihadista) del 19 dicembre 2016.
Ha confermato di aver rubato in un supermercato del Corvetto i due coltelli da cucina usati per l’agguato ai soldati e all’agente della Polfer. Sui momenti dell’aggressione, il 20enne ha detto solo di non ricordare: di essersi risvegliato dopo aver accusato un malore e di aver visto che aveva le mani sporche di sangue.
Se in un primo momento il ragazzo si era detto rammaricato e sconvolto per quanto accaduto, davanti al gip ha preferito non fare riferimenti alle condizioni dei tre feriti e a eventuali pentimenti per il suo gesto. Tanto che il giudice nel suo provvedimento ha rimarcato come Hosni non abbia «mostrato alcuna forma di rivisitazione critica del fatto commesso» che invece «assume di non ricordare».
L’indagine principale sull’aggressione di giovedì scorso in stazione è ormai quello per terrorismo internazionale. È in quel fascicolo che si stanno raccogliendo i riscontri sulle prime dichiarazioni raccolte dagli investigatori tra gli amici di Hosni. A cominciare dal racconto fornito dal libico Jbali, anche lui con precedenti per spaccio, ma segnalato dagli 007 dopo il suo sbarco sulle coste catanesi.
Al momento dell’arresto Hosni non aveva tablet, computer né cellulari. Anche se in un primo momento si era invece diffusa la voce che avesse uno smartphone e che fossero anche stati trovati filmati sulla jihad. Non è escluso che utilizzasse la sua attività di piccolo pusher (giovedì aveva assunto cocaina) per «barattare» droga in cambio di pochi minuti di utilizzo del cellulare del consumatore per collegarsi in Rete.
Gli accertamenti