Varese, parte l’appello agli «obiettori»
Il no ai profughi arriva, in provincia di Varese, da 84 comuni su 139: c’è chi ha detto che si incatenerà al palazzo comunale come il sindaco di Sesto Calende, Marco Colombo, e chi come il primo cittadino di Saronno, Alessandro Fagioli, ha ingaggiato una guerra con il prevosto perché il prete è riuscito a eludere il divieto della Lega di portare migranti in città. Dall’altra parte della barricata una ventina di sindaci, soprattutto del centrosinistra, che hanno costituito una «Rete civica dei sindaci per l’accoglienza». Di recente sono stati in udienza da papa Francesco, che ha detto: «Non mollate». Le loro soluzioni per dare opportunità ai migranti in linea con le richieste della Prefettura vanno in una direzione: l’ente locale deve occuparsi direttamente dei migranti e la loro dislocazione deve esser diffusa. A Comerio l’idea è stata di gestire i profughi grazie a una cooperativa che utilizza una casa di proprietà del sindaco stesso. E con i soldi risparmiati è stato finanziato qualche lavoretto per i residenti italiani. Altri sindaci, come quello di Maccagno con Pino e Veddasca, Fabio Passera, hanno utilizzato una cooperativa della Caritas per coltivare verdure e offrirle gratuitamente fuori dalle parrocchie come gesto di buona volontà. «L’aspetto importante della rete dei sindaci — osserva Silvio Aimetti di Comerio — è la possibilità di avere un gruppo di amministratori che ha già sperimentato diverse pratiche e professionalità». In questi Comuni le proteste non sono mancate. Ma quando i comeriesi hanno visto che il sindaco ci metteva la propria casa, la situazione si è andata normalizzando. In provincia di Varese vi sono 1.700 profughi. Aimetti e Passera hanno scritto una lettera ai colleghi sindaci chiedendo a tutti i Comuni di ospitarne almeno 10 ciascuno. «Ad oggi stiamo verificando la bontà di questa scelta e vorremmo chiedere anche a te di attivare un progetto di accoglienza basato su alcune caratteristiche che riteniamo possano garantirne il buon esito — recita la lettera —. Siamo convinti che la piccola dimensione del gruppo di rifugiati e l’adesione ad un progetto con diretta gestione da parte del Comune, possano garantire il raggiungimento di diversi obiettivi positivi per le nostre comunità».