Le gouaches di Hsiao Chin Astrattismo e taoismo in oltre duecento lavori
Oltre duecento opere distribuite su tre piani. Il sodalizio fra il pittore Hsiao Chin e il gallerista Giorgio Marconi è di quelli che vanno celebrati in grande. Più che un patto commerciale è infatti un’amicizia che resiste da oltre cinquant’anni, fin da quando il pittore cinese, nato a Shangai nel 1935, arrivò a Milano dalla Spagna, fresco di una borsa di studio vinta nel ’56. Anche sotto Franco, come a Taiwan dove i genitori di Hsiao si erano trasferiti, si respirava l’aria soffocante della dittatura militare. Meglio provare con Milano, nonostante fra Madrid e Barcellona Hsiao avesse conosciuto Tàpies inserendosi nel gruppo dell’avanguardia informale. «Milano all’epoca era una città vivace, ospitale, e praticava la solidarietà», racconta Hsiao. «Anche io, come molti artisti, mangiavo dalle signorine Piruvini: otto sorelle molto cattoliche che a Brera gestivano un ristorante a credito. Si pagava quando si poteva». Bastava bighellonare fra i bar di Brera e si incontravano tutti: Fontana, Castellani, Crippa e Piero Manzoni con il quale Hsiao Chin fece un memorabile viaggio in Lambretta fino ad Albissola dove in molti andavano per lavorare la ceramica. «Lui era grosso e pesante, stava dietro di me. Non c’era ancora l’autostrada e impiegammo più di quattro ore; alla fine, appena arrivammo, la Lambretta si spense di colpo e non ripartì mai più», racconta Hsiao che rinunciò anche al trasferimento in America perché là, racconta, l’arte era soprattutto business. A New York ha vissuto dal 1967 al 1971, a contatto con nomi entrati nella grande storia dell’arte, come Rothko, de Kooning, Rauschenberg, Lichtenstein, Sam Francis. Ma per Hsiao, che pratica il buddhismo zen, l’arte è invece un mezzo per arrivare al risveglio della coscienza, come ben si vede dalle sue stupende gouaches e inchiostri su carta di riso in mostra alla Fondazione Marconi di via Tadino 15 fino al 15 settembre (vernice oggi dalle ore 18).