Da 60 anni fa barba e capelli «a ladri, spazzini e scrittori» Il quartiere lo festeggia
«Ho servito ladri, spazzini e scrittori». E domenica il quartiere lo festeggia
Sessanta candeline per la bottega di Mario Delle Fave, barbiere di via Gherardini. «Servo tutti allo stesso modo, muratori, dirigenti, scrittori» dice. Fedele al rituale imparato all’età di 11 anni, non è mai stato tradito dai clienti: «Mi vogliono bene».
Due date brillano nella memoria di Mario Delle Fave: «Il 10 giugno 194o l’Italia entra in guerra, io nella bottega di barbiere per imparare il mestiere». Aveva 11 anni, abitava ancora a Carpino sul Gargano in Puglia, il paese che è rimasto nella sua parlata. Altra pagina del calendario: «Il 28 maggio 1957 apro il negozio a Milano in via Gherardini 2». All’ombra dell’Arco della Pace da 60 anni aspetta i clienti per un taglio di capelli, una rinfrescatina alla barba, due chiacchiere.
«Mi sono trasferito al Nord da solo — ricorda Mario, giacca rossa come gli asciugamani e cravatta ben annodata — . Ho visto le macerie del dopoguerra, poi piano piano tutta la città è rifiorita». Il primo impiego è in piazza Beccaria, dopo si stanca di essere dipendente e si arrischia a mettersi in proprio. «Negli anni Cinquanta avevo quasi paura qui — confessa —. C’era poco passaggio la sera». Delle insegne nate in quel periodo è sopravvissuta solo la sua. «Sono del ‘29 ma non mi sono ancora stancato, quando si lavora con voglia nessun mestiere è brutto. Io sono innamorato del mio». Sorride a un uomo che gli bussa alla vetrina, lo fa entrare e lo siede sulle poltrone verdi per regolare il taglio.
Arrivato ad avere anche quattro o cinque dipendenti negli anni Settanta, ora è rimasto solo. Come si fa a tenere la serranda alzata tutto questo tempo? «Si impara in bottega, non c’è scuola che valga. Servono onestà, professionalità, lealtà». Lo dice quasi fosse un giuramento d’onore, poi si dilunga in qualche dettaglio. «Bisogna stare attenti alla fede calcistica, non infastidire il cliente se non ha voglia di parlare. E poi accogliere tutti allo stesso modo. Ho servito ladri, muratori, dirigenti, spazzini e scrittori. Tanti ritornano, ho avuto anche cinque generazioni di fila». La pubblicità non gli serve: «Quando ho protestato per i ponteggi che in questi giorni nascondono la vetrina mi hanno risposto che tutti sanno dove sono, non ho bisogno di mettermi in mostra». E aggiunge con orgoglio che «i clienti mi vogliono bene. Vede questo? È il compito in classe di Nicola, un bambino che ha scritto di me» e mostra un foglio vergato a mano, con grafia ancora incerta.
Nell’arredamento della bottega, oltre all’attestato di negozio storico e alle foto di figli e della nipote, le locandine della Scala. «Sono appassionato di opera da quando ero ragazzino, al mio paese la banda suonava le arie». Una volta a Milano, le maschere gli lasciano i biglietti come mancia dopo il taglio dei capelli, qualcuno anche per il Piermarini. «Ascoltavo i commenti dagli altri loggionisti e imparavo qualcosa — continua —, non sono un esperto. Ho visto tante opere, ma una sola Prima, il Parsifal». Si lascia convincere a svelare qualche segreto professionale portato avanti nella lunga carriera: «Due asciugamani caldi per la rasatura, uno prima e uno dopo. Penso modestamente di essere stato l’inventore di questa pratica». Altro trucco, la fiamma per bruciare le doppie punte dei capelli: «Poi lo shampoo per togliere l’odore di fumo. Dico di no solo a chi mi chiede un taglio moderno. Saremmo scontenti sia io sia il cliente». Tra poco il compleanno del «barbiere storico», 88 candeline. Domenica pomeriggio la festa per i 60 anni della bottega.