I MIGRANTI E IL PATTO «SOCIAL»
Icentri di accoglienza che scoppiano, il blitz in Centrale, la marcia per i migranti: scenari che cambiano in continuazione, tante polemiche e un po’ di confusione sotto il cielo ambrosiano nell’affannosa ricerca di un nuovo modello di integrazione. È venuto il momento di mettere un punto fermo. Tra l’equilibrismo snervante di una certa sinistra, che non riesce a decidere se la sicurezza sia o no un tema di cui appropriarsi pienamente, e le scorciatoie di una certa destra, che conosce soltanto il vocabolario delle parole d’ordine, c’è la maggioranza poco silenziosa e piuttosto disorientata dei cittadini milanesi. Per nessuna ragione propensi a rinnegare l’antica e irrinunciabile attitudine alla solidarietà, inscritta nel Dna della città. E altrettanto indisposti a scivolare nel malinteso buonista che interi pezzi di territorio siano trasformati in accampamenti senza regole. Oltre il «ma anche» e il cerchiobottismo, c’è allora il punto fermo del patto firmato da 80 sindaci. Che si basa su un elementare principio di buon senso: accogliere gli immigrati è una fatica oggettiva per tutti, vediamo di spalmarla equamente tra i Comuni. Le idee semplici sono anche le più solide. Per questo il patto merita di essere sostenuto. Si dirà: non tutti hanno aderito e l’accordo non è trasversale, a parte un’eccezione forzista. Vero. Ma qui la questione, sfrondata dalla propaganda e dall’odioso corollario delle minacce e degli insulti social, è poco politica e molto sostanziale. Tutti, alla fine, hanno da guadagnarci. E per Milano è l’unico, nuovo modello «social» di integrazione possibile.