Quando nel «cortilone» della Statale si curavano i malati e si giocava a carte Storia e curiosità sulla Ca’ Granda
Un libro ricostruisce la storia della Ca’ Granda da ospedale modello a sede dell’Università
«Per dirlo brevemente, questo è un luogo tanto ben fatto et ordinato, che per simile non credo ne sia un altro in tutta Europa». Giorgio Vasari non era tipo da risparmiare critiche e punzecchiature, ma nel lodare la Ca’ Granda, l’ospedale di Milano progettato un centinaio di anni prima dal Filarete, fu estremamente generoso. Indugiò persino sul resoconto della solenne processione tenuta il 12 aprile 1457 per la posa della prima pietra. Un corteo guidato dal duca Francesco Sforza seguito da tutto il clero di Milano, dalla «signora Biancamaria e tutti i loro figlioli, il marchese di Mantova e l’ambasciador del re Alfonso d’Aragona, con molti altri signori». Vasari intendeva sottolineare l’orgoglio della città per un edificio all’avanguardia anche nei moderni principi sanitari con i quali era progettato. Dopo i bombardamenti della seconda guerra l’ospedale fu trasferito a Niguarda e già dagli anni Quaranta la Ca’ Granda diventava sede dell’Università Statale, con Medicina come prima facoltà insediata.
Fra la posa della prima pietra e oggi, gli oltre cinque secoli della sua storia vengono ripercorsi in un volume che verrà presentato oggi nella sala di rappresentanza dell’Università dagli autori Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa. Le pagine di «La Ca’ Granda. Da Ospedale a Università» (Officina libraria) sono ricche di immagini, storie, curiosità e scoperte. Ci raccontano dove trovavano spazio gli uffici dell’amministrazione, il refettorio (decorato nel 1502 con una riproduzione dell’Ultima cena di Leonardo, a sancire l’immensa fama di cui subito godette l’affresco), i pozzi per l’acqua, i locali dove si faceva il pane, la legnaia e la farmacia con annesso giardino per le erbe officinali. Si può seguire giorno per giorno anche il viaggio intrapreso da Lorenzo Gennari, nipote del Guercino, dalla bottega di Cento a Milano con la pala imballata destinata all’altare della chiesa dell’ospedale, dove ancora si trova. La riproduzione di alcuni quadri rivela anche quanto fosse affollata la vita nel «cortilone»: dove oggi transitano soprattutto giovani studenti e docenti, una volta si giocava a carte, si distribuivano documenti per i ricoveri e alcuni medici visitavano i pazienti improvvisando un pronto soccorso.
Ma le storie raccontate nel volume arrivano fino all’oggi, alle curiosità sulle insegne fasciste; il cardinale Montini; il primo sigillo dell’Università realizzato dal gioielliere della Milano bene Alfredo Ravasco; la medaglia d’oro celebrativa disegnata da Giacomo Manzù e coniata per la prima volta nel 1951 come dono offerto alle personalità in visita; la Minerva in bronzo di Lucio Fontana collocata nell’ingresso più nuovo, verso piazza santo Stefano, di cui non si è mai trovata la relativa documentazione. E poi gli aneddoti sui personaggi che hanno frequentato le sue aule come la giornalista Camilla Cederna (cui sono dedicati i giardinetti antistanti), che si laureò con una tesi sulle prediche contro il lusso delle donne, dai filosofi greci ai padri della chiesa. Così che, alla fine, le 192 pagine sulla Ca’ Granda si trasformano in un atlante della città.