«Autonomia lombarda, il referendum è un bluff»
Gori: soldi spesi per «citofonare» al governo, Lega disinteressata al vero federalismo
«Il sì al referendum sull’autonomia della Lombardia significa portare 27 miliardi in più ai lombardi. Con quei soldi raddoppieremmo il nostro bilancio regionale». Così parlò venerdì scorso a Mantova il governatore lombardo Roberto Maroni. Pochi giorni prima, a un giornalista che gli chiedeva di spiegare «in due parole» cosa chiedesse il referendum, Maroni rispondeva così: «Se interessa che la Lombardia possa tenersi almeno la metà delle tasse — 53 miliardi l’anno — che manda a Roma, per poterle investire qui: ospedali, servizi, scuole, aiuti e, che so?, l’abolizione del bollo delle auto». Senonché il referendum annunciato per il 22 ottobre non ha nulla a che fare con i miliardi di cui parla Maroni, che per i numeri eclatanti ha sempre avuto un debole.
Nel 2013 si fece eleggere promettendo che avrebbe tenuto in Lombardia il 75% delle tasse. Non solo era una boutade irrealizzabile, ma una volta eletto non ha fatto un solo passo per provare a concretizzare la promessa. Ecco, la nuova bufala si chiama «27 miliardi».
Il referendum verte su tutt’altro tema, si limita a interpellare i cittadini per decidere se la Regione debba attivarsi per negoziare col governo, in base all’articolo 116 della Costituzione, l’attribuzione di alcune competenze tra quelle «a legislazione concorrente». Una cosa così richiede un referendum? Forse sì, se il governo risultasse indisponibile ad avviare la procedura. Ma il governo ha già aperto la porta, dando piena disponibilità ad avviare il negoziato. Che senso ha dunque chiedere ai lombardi un mandato per citofonare? Soprattutto se suonare quel campanello costa (come costerà) ben 46 milioni di euro. La verità è che Lega non ha alcun interesse per l’autonomia. Nel 2007 il governo Prodi e la Lombardia di Formigoni avevano avviato (senza bisogno di referendum) il negoziato sul trasferimento di nuove competenze alla Regione. Quando nel 2008 gli succedette il governo Berlusconi, con quattro ministri leghisti, tra cui Maroni e Zaia, la trattativa fu interrotta e non se ne parlò più.
A noi, al Pd e alle forze del centrosinistra lombardo, l’autonomia differenziata interessa invece davvero. È la nostra idea di federalismo, vero, sostenibile, che nulla ha che vedere con i propositi secessionisti della Lega. È l’aggiornamento dell’idea costituzionale di regionalismo. Ci arriveremo. Partendo da una riflessione, seria, sulle materie che vogliamo portare nella responsabilità regionale, cui vorrei qui contribuire con un paio di proposte. La prima riguarda la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. La Lombardia è la regione più inl’evidente quinata d’Italia, lo stato di emergenza riguarda la terra, l’aria e le acque. Abbiamo bisogno di una cura speciale, che passa dalla facoltà di legiferare autonomamente, anche per relazione con altre materie di responsabilità regionale, dalla salute al consumo di suolo e all’agricoltura. La seconda riguarda la ricerca scientifica e tecnologica a sostegno dell’innovazione. Il sistema produttivo lombardo per competere con le regioni più avanzate d’Europa ha bisogno di sviluppare un rapporto più stretto con il mondo della ricerca. Chi ha la ricerca ha la conoscenza, chi ha la conoscenza ha la possibilità di sviluppare innovazione produttiva. Sono spunti, certo non esaustivi, ma è la dimostrazione che c’è un modo, serio, di passare dalle parole ai fatti. Per vent’anni la Lega ha preteso di rappresentare gli interessi del Nord. Ha fallito il suo obiettivo; per poi cambiarlo, con Salvini e il suo progetto nazionalista. Ora Maroni ci riprova, ma è chiaramente un bluff.