Chi ha paura della Nera Signora
La rimozione del lutto nella società è al centro del nuovo spettacolo di Lucia Calamaro al Parenti
Mamma, ma nonna dov’è? Che si dice a tua figlia di sei anni che senza preavviso ti sferra la domanda impossibile? A Lucia Calamaro viene in mente una sola risposta onesta: nonna è al cimitero. «E in quel momento mi sono resa conto che al cimitero la mia bimba non c’era mai stata. Non l’avevo mai portata. Io stessa non ci avevo messo piede da moltissimi anni», confessa Calamaro, drammaturga e regista tra le più significative della scena contemporanea, decorata con un premio Ubu. «La vita ferma», suo nuovo testo da stasera in scena al Teatro Franco Parenti, nasce da quelle considerazioni. «La mia generazione, i quarantenni, al cimitero non ci vanno più. Si tende a rimuovere la morte, ogni suo simbolo, ogni sua traccia, foto, vestiti, lettere... Si cerca di spazzar via il dolore, il non senso, sbarazzandosi del ricordo».
Naturalmente non funziona. La famigliola a cui Lucia affida sulla scena i suoi pensieri, un padre, una madre, una figlia, si ritrova a fare i conti con il buco nero del lutdato? to. Simona, la madre, è morta ma non si rassegna alla nuova condizione. «Si ostina a fare il fantasma, parla con il marito Riccardo come se nulla fosse... Non vuole essere messa da parte, ha ancora molte cose da dire, da spiegare».
Cosa resta di chi se n’è anti, Come si riempie il vuoto? Quanto tempo ci vuole per dimenticare? «Domande che turbano chi resta e anche chi va. Per questo i morti tornano, anche se detta così può parere un film horror di Romero — scherza Calamaro —. I morti ci chiedono di essere ricordane rimpianti. Ma i vivi hanno altre esigenze, di dimenticare, andare avanti». La psicoanalisi lo chiama elaborazione del lutto. «Il teatro può fare meglio, può richiamarli in vita. Magari in modo tragicomico, come accade qui. A volte penso: e se tornassero tutti? Come “Les Revenants” la serie scritta da Carrère? Che guaio».
Ma alla fine sua figlia in cimitero ce l’ha portata? «Certo. Siamo andati sulla tomba della nonna, abbiamo pulito la pietra, messo dei fiori. Sono modi di rammendare il dolore del ricordo». Nei suoi testi, da «L’origine del mondo» a «Diario del tempo», c’è sempre una componente autobiografica. «Ho vissuto più vite, sono nata a Roma, ho passato molti anni in Uruguay, in Francia... Mi sono laureata alla Sorbonne, al liceo ho incontrato il teatro. Un professore di teatro... Poi la storia con lui è finita ma l’amore per il teatro no».
Inizio come attrice, poi passa alla scrittura. «A parte i classici, non trovavo interlocutori tra i vivi. Il teatro oggi, specie in Italia, non mi pare abbia molto da dire. Mi sorprende la scarsa cultura di chi lo fa, pochi i laureati, pochissimi quelli che leggono...». Il prossimo spettacolo? «Da laica convinta andrò a bussare alle porte del Cielo. Titolo: “Nostalgia di Dio”».