Brexit, Milano nuova Londra Le strategie dei diplomatici
L’Ambasciata: sfruttare Porta Nuova per attirare la finanza islamica
Milano si sta attrezzando per diventare la «nuova Londra» dopo la Brexit: ossia per attrarre capitali e aziende dalla City dopo che la Gran Bretagna avrà lasciato l’Unione europea. E tra le altre cose punta anche a un mercato particolare: quello della finanza islamica, che ha proprio sulle rive del Tamigi uno dei centri di gravità mondiali. La banca d’affari Goldman Sachs stima in duemila miliardi il volume di transazioni basate sulla sharìa, le legge islamica: se Milano riuscisse a calamitarne anche solo una piccola percentuale, il ritorno sarebbe di tutto rispetto.
La prospettiva è stata illustrata ieri mattina all’ambasciata italiana a Londra, attivissima in questi mesi nel promuovere l’attrattiva del nostro Paese per aziende e manager in fuga (eventuale) dal Regno Unito. Pasquale Terracciano, titolare della sede diplomatica, ha spiegato che Milano non ha l’obiettivo di rimpiazzare Londra, ma di agire secondo una logica di «complementarità»: e ha citato l’esempio virtuoso dell’integrazione fra le Borse delle due città. Questo
perché è prevedibile che ci saranno attività finanziarie ricollocate sul Continente, anche se la City continuerà ad andare avanti, «seppure come un pneumatico un po’ sgonfio», aveva detto l’ambasciatore in un’altra occasione.
Gli aspetti concreti delle misure volte ad attrarre la finanza islamica li ha spiegati il professor Stefano Loconte, avvocato che è un’autorità in tema di tassazione agevolata. C’è già un disegno di legge presentato alla Camera e che si prevede possa avere un percorso veloce di approvazione: l’obiettivo è una razionalizzazione della fiscalità su tutti quegli strumenti finanziari. In quell’universo, ha spiegato il giurista, «il prestito non prevede remunerazione»: ad esempio, invece di concedere un mutuo la banca compra la casa e la affitta al cliente, con un patto di riscatto. «Ma così abbiamo due trasferimenti, che comportano una doppia tassazione, che finisce per essere scaricata sul cliente», fa notare Loconte. Il disegno di legge invece mira a tassare questi fenomeni «sulla base della prevalenza della sostanza sulla forma» e quindi imponendo una sola tassazione. «Così la finanza islamica e quella convenzionale sono messe sullo stesso piano», conclude l’avvocato.
Ma è evidente che quando si tira in ballo la finanza islamica le questioni non sono soltanto fiscali, ma vanno a toccare nervi politici spesso molto sensibili. «Va fatto un percorso culturale», riconosce Loconte, spiegando che per finanza islamica non si intende semplicemente quella fatta dai musulmani, ma tutta quella che opera sulla base dell’osservanza della sharìa. E ammette che «esiste il tema del finanziamento di fenomeni patologici»: in altre parole dell’estremismo, quando non del terrorismo. Dunque nel disegno di legge sono state inserite delle norme rafforzate sulla disciplina antiriciclaggio, proprio per mettersi al riparo da sorprese sgradevoli.
L’avvocato è consapevole che ci si muove su un terreno minato: «Indubbiamente sono possibili delle strumentalizzazioni», concede, ma sottolinea che l’obiettivo del disegno di legge è principalmente quello di arrivare a una tassazione equivalente fra finanza islamica e tradizionale, regolamentando quattro operazioni, e cioè i mutui, il leasing finanziario e operativo e l’emissione di obbligazioni islamiche.
Sicuramente Milano si troverà al centro di queste operazioni, considerando fra l’altro la già importante presenza in città dell’emirato del Qatar, che ha in portafoglio i grattacieli di Porta Nuova oltre all’hotel Gallia e alla maison Valentino. E di investimenti in Italia si continuerà a parlare stamattina a Londra con Stefano Firpo, direttore generale del Mise, ospite del Business Club diretto da Giovanni Sanfelice di Monteforte.
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