Quante sorprese all’ombra di San Luigi
Tra corso Lodi e via Ripamonti, cromatismi anni 50, architetture razionaliste e botteghe «su misura»
Il quartiere l’ha scelto in un nanosecondo, San Luigi, dove lavora. San Luigi... dove è? Abbozza sornione, lo sa benissimo che nonostante la relativa vicinanza alla Fondazione Prada pochi saprebbero indicarlo su una mappa. «Non è il luogo dove cercare edifici di Ignazio Gardella e Gio Ponti», dice. E svela il suo piano: un giro fra i palazzi degli anni Cinquanta del rione (per inciso, è l’interno ovest del secondo tratto di corso Lodi). Architetture anonime, senza firma. «Giapponesi e americani vengono a fotografare queste case una per una, noi non le cogliamo perché le abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni», spiega.
La passeggiata guidata dal pittore Luca Pignatelli, artista delle grandi tele, degli arazzi, dei legni, su cui interviene sovrapponendo immagini di reperti classici e oggetti contemporanei, inizia nel suo studio. Un loft a due piani, luce che filtra dall’alto e illumina una fila di opere appoggiate alle pareti. Osservazione: «Questo è un luogo privato, non si può suonare ed entrare». Risposta fulminea, come già preparata, «da tempo mi chiedono di trasformarlo in museo. In autunno, in occasione di una mostra, aprirò le porte».
Siamo fuori. Via Tagliamento, un androne. «Semplice, colori da oratorio, segnare, segnare», scherza. Sguardo alla chiesa di San Luigi Gonzaga, basilicona di fine Ottocento, «il campanile è alto 50 metri, linea fredda da ingegnere, il nome non lo ricordo». Poi aggiunge: «Quando è nata mia figlia Beatrice, dieci anni fa, ho dipinto una Madonna della Neve. È rimasta esposta in Santa Maria delle Grazie per un anno. Vorrei portarla qui, ne ho già parlato al parroco». Ancora via Tagliamento, prima una palazzina del secondo dopoguerra. «Non bella, ma il cromatismo, questo punto di verde tipico di quegli anni, il mosaico sui balconcini... guardare, guardare», poi la Cartoleria-Tipografia Fratelli Bonvini, bottega storica (anno 1909). I vecchi proprietari, piccoli di statura, si erano fatti costruire gli interni su misura. Sono ancora lì: banco da lavoro, cassettiere, soppalco a vista.
La pentola a pressione. Solo un pittore può definire così una palazzina verde e gialla con inserti geometrici (via Don Bosco angolo Verbano), «quasi militaresca, a metà fra Emilio Lancia e Giovanni Muzio». E ancora: solo un artista può intravedere De Chirico nella geometria di una terrazza, «quei plinti, è il suo inconfondibile segno» (sempre Don Bosco angolo Breno), e parlare con ammirazione di una casa ricoperta di piastrelline di selce chiara con le tapparelle azzurrine, «architettura balneare anni Sessanta, da rivalutare».
«Ho ancora una sorpresa, forza corriamo». Non è dietro l’angolo, camminiamo sotto il sole in una zona poco residenziale. «Questa infilata di edifici industriali bassi mi ricorda Los Angeles, la porzione di cielo aperto così vasta...». Via Quaranta 41, arrivati. Aveva ragione. Il Panificio automatico continuo è una meraviglia: architettura razionalista, grandi finestre, serbatoio e ciminiera. «Chissà per cosa è usato oggi, guardiamo». Si avvicina alle targhe. Deposito libri, sala lettura, Milano Ristorazione. «Leggere qui dentro? Un cambio di destinazione d’uso geniale».
Pignatelli ha un secondo studio, quasi attaccato alla Fondazione Prada. Ci siamo davanti. «Sono al piano inferiore, sopra dormono un centinaio di ragazzi siriani. Una storiaccia, li facevano pagare e li stipavano come polli. Ci siamo battuti perché la verità venisse a galla». Mentre apre la porta dello studio, butta lì: «Chissà, forse aprirò anche questo».
Estetica da rivalutare
«In questa zona ci sono scorci californiani Giapponesi e americani fotografano tutto»