Trovato col satellitare e processato in India «Momenti di terrore»
Èandato in vacanza portando con sé un telefono satellitare, in un territorio dove non era consentito per legge utilizzare tali apparecchi, e per poco la vicenda non è sfociata in un caso internazionale. Ma tutto si è risolto con un processo lampo e una cauzione di poche rupie pagata per poter ritornare subito in Italia. È la disavventura vissuta da Gianluca Fidanza, 49 anni, il vicesindaco del Comune di Comerio (Varese) che domenica 6 agosto è stato bloccato all’aeroporto di New Delhi, in India, e fermato dalla polizia. Reato contestato: la violazione della legge indiana sulle telecomunicazioni. «È stata una bruttissima avventura — racconta oggi il vicesindaco Fidanza ricordando quei momenti di terrore —. All’aeroporto di New Delhi, un poliziotto mi ha guardato in faccia e mi ha detto che avevo commesso un crimine molto grave, e che non sapeva se avessi potuto ritornare in Italia. Hanno bloccato la fila dei passeggeri e mi hanno isolato dagli altri partecipanti alla vacanza».
Inutile dire che il primo pensiero, per un italiano, è andato alla vicenda dei due marò, ma nulla di questa storia è collegabile a quell’intricata questione diplomatica. Gianluca Fidanza, più semplicemente, è un appassionato di raid in moto. A fine luglio era partito per un giro motociclistico in India, nella regione del Ladhak, con un’associazione francese specializzata in vacanze sulle due ruote. Il Ladhak è una regione ai piedi delle montagne più alte del mondo, e offre percorsi di grande fascino tra l’Himalaya e il Karakorum. «Lì vi sono delle comunicazioni con i telefoni cellulari molto precarie e in alcuni casi impossibili — racconta —, ho acquistato un telefono satellitare perché volevo rimanere in contatto con la famiglia e avere notizie di mio figlio che, pochi giorni prima, aveva avuto un piccolo incidente domestico. Ma non ho tenuto conto di un particolare». È stato proprio un funzionario indiano a farglielo presente: detenere un telefono satellitare in una regione ad alta densità di infiltrazioni terroristiche è illegale. E quando in quella saletta dell’aeroporto Fidanza si è trovato, per almeno sei ore, interrogato da quattro diversi funzionari di cui due dei servizi segreti, gli si è gelato il sangue.
«Il telefono l’avevo acquistato di seconda mano — continua — e la cosa bizzarra è che in India non l’ho mai usato, perché sono riuscito a comunicare con la mia famiglia tramite Whatsapp». Ciò che è accaduto dopo la scoperta del telefono nel bagaglio è stato un vero incubo. «Quando ho messo tutti gli oggetti sul nastro ho visto che il telefono satellitare è stato preso dagli agenti ed è scattato il fermo — racconta Fidanza —. Mi è stato spiegato che avevo commesso un crimine molto grave. Mi sono sentito crollare il mondo addosso. Tuttavia mi hanno consentito di avvisare l’ambasciata italiana. Un viceconsole è accorso subito e c’è stata una vera mobilitazione dell’ambasciata per aiutarmi, con uno zelo encomiabile». È stata proprio l’ambasciata italiana, dice, a ottenere che quella domenica sera non venisse portato in cella bensì alloggiato in una guest house. Il mattino dopo si è svolto il processo: «Mi hanno assegnato un avvocato e vi è stata l’udienza penale. Mi traducevano tutto. Al termine il giudice mi ha lasciato la scelta: o accettare una pena da tre a sei mesi di carcere e ritornare in Italia con il telefono, oppure pagare una cauzione, andare a casa subito e rinunciare al telefono. Ovviamente non mi importava nulla del satellitare, mi ha colpito però che la cauzione costasse solo mille rupie, e cioè 31 euro, l’avvocato invece mi ha presentato una parcella di 7.500 dollari».