«È impossibile insegnare a corsi con 600 ragazzi»
Sorpreso? «No, perché in queste cose c’è sempre da aspettarsi che qualcuno si opponga e faccia appello ai tribunali: fa parte della dialettica democratica». Magari un pizzico di rammarico, quello sì, per un’occasione persa, «senza fare drammi né tantomeno crociate». Giulio Giorello, filosofo della scienza, in pensione da un paio d’anni dopo una vita passata in cattedra alla Statale, in fondo questo niet del Tar se lo aspettava.
Lei si era espresso a favore del numero chiuso. È una sconfitta questa sentenza?
«Siamo davanti a un problema empirico da affrontare con sano buon senso. Non scanniamoci su queste cose e aspettiamo di vedere le motivazioni dei giudici. Senza guerre di religione, che non ci piacciono per definizione. Era prevedibile che ci fossero dei ricorsi, fa parte del gioco democratico».
Ma il numero chiuso rimane necessario, professore?
«Un numero programmato, variabile di anno in anno a secondo delle richieste e delle esigenze, come aveva delineato il rettore Vago, continua a sembrarmi la soluzione necessaria per alcune facoltà. Nessuno vuole chiusure rigide, ma è difficile insegnare filosofia a 600 persone e in aule che scoppiano. Passa la voglia ai docenti e pure agli studenti d’imparare, mi creda».
Ci sono troppi aspiranti filosofi
«C’è un aspetto positivo in questa forte domanda per le facoltà umanistiche, filosofia e non solo. Il senso critico dei giovani vuol dire per esempio che è vivo e vegeto. Ma il numero programmato ha un senso proprio per tutelare gli studenti appassionati. Perché c’è anche chi s’iscrive a Filosofia pensando che sia un corso facile e questo come docente mi innervosisce. E che la chimica e altre materie scientifiche abbiano perso appeal è curioso ma anche un po’ preoccupante».
Il numero chiuso non è un ritorno a un’università d’élite?
«Va sconfitta la piaga dell’abbandono; il numero programmato è solo un accorgimento tecnico per dare soluzione al sovrappopolamento dei corsi che rovina il piacere delle lezioni e impedisce un rapporto diretto tra professore e allievo».
Anche molti suoi colleghi si sono però battuti contro le restrizioni.
«Alcuni colleghi non la pensano come me. Capisco anche il loro punto di vista e ripeto: non scanniamoci su questi temi. Tutti abbiamo comunque a cuore la cultura e l’insegnamento».
E ora che succede? I test d’ingresso non si faranno più?
«Ah questo davvero non lo so...Si tratterà di trovare delle soluzioni di buon senso».
La selezione Il numero programmato mi sembra la soluzione migliore Però mi aspettavo che ci fosse una causa, fa parte del normale funzionamento della democrazia