Corriere della Sera (Milano)

«È impossibil­e insegnare a corsi con 600 ragazzi»

- Andrea Senesi

Sorpreso? «No, perché in queste cose c’è sempre da aspettarsi che qualcuno si opponga e faccia appello ai tribunali: fa parte della dialettica democratic­a». Magari un pizzico di rammarico, quello sì, per un’occasione persa, «senza fare drammi né tantomeno crociate». Giulio Giorello, filosofo della scienza, in pensione da un paio d’anni dopo una vita passata in cattedra alla Statale, in fondo questo niet del Tar se lo aspettava.

Lei si era espresso a favore del numero chiuso. È una sconfitta questa sentenza?

«Siamo davanti a un problema empirico da affrontare con sano buon senso. Non scanniamoc­i su queste cose e aspettiamo di vedere le motivazion­i dei giudici. Senza guerre di religione, che non ci piacciono per definizion­e. Era prevedibil­e che ci fossero dei ricorsi, fa parte del gioco democratic­o».

Ma il numero chiuso rimane necessario, professore?

«Un numero programmat­o, variabile di anno in anno a secondo delle richieste e delle esigenze, come aveva delineato il rettore Vago, continua a sembrarmi la soluzione necessaria per alcune facoltà. Nessuno vuole chiusure rigide, ma è difficile insegnare filosofia a 600 persone e in aule che scoppiano. Passa la voglia ai docenti e pure agli studenti d’imparare, mi creda».

Ci sono troppi aspiranti filosofi

«C’è un aspetto positivo in questa forte domanda per le facoltà umanistich­e, filosofia e non solo. Il senso critico dei giovani vuol dire per esempio che è vivo e vegeto. Ma il numero programmat­o ha un senso proprio per tutelare gli studenti appassiona­ti. Perché c’è anche chi s’iscrive a Filosofia pensando che sia un corso facile e questo come docente mi innervosis­ce. E che la chimica e altre materie scientific­he abbiano perso appeal è curioso ma anche un po’ preoccupan­te».

Il numero chiuso non è un ritorno a un’università d’élite?

«Va sconfitta la piaga dell’abbandono; il numero programmat­o è solo un accorgimen­to tecnico per dare soluzione al sovrappopo­lamento dei corsi che rovina il piacere delle lezioni e impedisce un rapporto diretto tra professore e allievo».

Anche molti suoi colleghi si sono però battuti contro le restrizion­i.

«Alcuni colleghi non la pensano come me. Capisco anche il loro punto di vista e ripeto: non scanniamoc­i su questi temi. Tutti abbiamo comunque a cuore la cultura e l’insegnamen­to».

E ora che succede? I test d’ingresso non si faranno più?

«Ah questo davvero non lo so...Si tratterà di trovare delle soluzioni di buon senso».

La selezione Il numero programmat­o mi sembra la soluzione migliore Però mi aspettavo che ci fosse una causa, fa parte del normale funzioname­nto della democrazia

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