I Longobardi si riprendono Pavia
La capitale dell’antico regno celebra le sue radici con una mostra interattiva al Castello Visconteo Monili, armi, frammenti di marmi e codici miniati
Alla fine, anche Pavia si è fatta avanti. Pur essendo stata la capitale del regno longobardo, finora ha mantenuto vivo quel suo frammento di dna soprattutto nella memoria perché di tracce storiche, visibili, ne ha invece conservate ben poche in confronto ad altri centri come Castelseprio, Brescia o Cividale del Friuli che hanno trovato modo di esibire il proprio passato barbaro. «A Pavia abbiamo avuto una straordinaria stagione romanica che ha occultato i resti della presenza longobarda», spiega Susanna Zatti, direttore dei Musei civici. «E tuttavia se per
Corredi funerari Le maggiori notizie sul popolo ci giungono dai numerosi ritrovamenti tombali
esempio del palazzo di Desiderio rimangono solo tracce nella toponomastica, ci restano comunque tombe e frammenti lapidei di eccezionale prestigio, degni appunto di una capitale».
Nasce così, dalla rivalutazione del patrimonio conservato in una sezione dei musei civici, l’idea di promuovere la mostra «Longobardi» visitabile da oggi nelle scuderie del Castello. Trecento pezzi (monili, armi, suppellettili, frammenti di marmi, codici) provenienti da 80 musei e 58 corredi funerari per un totale di 32 siti longobardi rappresentati. «La caratteristica di questa esposizione — precisa la Zatti — è infatti quella di raccontare l’intera storia della Langobardia che si estendeva fino a Benevento il cui ducato sopravvisse ben oltre la caduta del regno avvenuta nel 774 per mano di Carlo Magno». Dopo Pavia, la mostra andrà quindi al Museo archeologico nazionale di Napoli e infine all’Ermitage di San Pietroburgo.
Dunque anche attraverso ologrammi, video e touchscreen allestiti nella rinnovata sezione longobarda dei musei civici in cui si prolunga la visita, sarà possibile una corretta lettura dell’invasione che dilagò nella gran parte del territorio italiano, non soltanto al Nord. Un’intera popolazione di 150 mila individui e famiglie che si mosse dalla Pannonia, l’attuale Ungheria (ma le origini erano forse scandinave), alla conquista della penisola italiana, all’epoca era facile preda, estenuata com’era dal lungo conflitto fra Goti e Bizantini.
Divisa in otto sezioni che si sviluppano cronologicamente, ognuna introdotta da un video, la mostra inizia col racconto della situazione dell’Italia prima della conquista. Illustra poi gli usi della sepoltura longobarda attraverso monili, armi e suppellettili raccolti in 58 corredi funerari esposti integralmente. Proprio dai ritrovamenti tombali ci giungono infatti le maggiori informazioni su un popolo che, quando arrivò in Italia, non conosceva ancora la scrittura (impressionerà soprattutto i bambini il grande scheletro di cavallo sepolto accanto a due cani). La terza sezione è dedicata all’economia che si sviluppò negli insediamenti grazie
Paragoni Fresco e vitale lo stile delle sculture, anche se barbaro per i raffinati parametri grecoromani
soprattutto all’allevamento e alle colture. La sezione successiva, che indaga l’architettura religiosa attraverso la scultura, è forse la più spettacolare perché espone i pezzi più monumentali: frammenti di marmi dove si apprezza uno stile artistico certamente barbaro per i raffinati parametri greco romani, ma fresco e vitale soprattutto nella rappresentazione degli animali. Le ultime vetrine espositive sono dedicate alla scrittura: con le epigrafi marmoree e i codici redatti anche nei monasteri cattolici (con questi si chiude la mostra) a testimonianza dell’integrazione avvenuta con i popoli dominati.