PERIFERIE TRA AIUTO E REGOLE
Ogni rivolta lascia dietro di sé una scia di tormento, di se e di ma. È il prezzo da pagare per il cambiamento, al quale non sfuggono neanche le rivoluzioni più piccole. Quella degli inquilini delle case Aler di via Civitali lascia una donna incinta senza un tetto — materia di servizi sociali — e la strana sensazione che la legge e l’autorità debbano essere surrogate, o alla meglio integrate, dagli umori della gente. È anche la prova di un radicamento del malaffare in città con un intreccio di consuetudini illecite. In questo caso dietro il disagio di una donna con un bimbo che non saprà dove far nascere c’è un racket che utilizza i più deboli per insinuare illegalità, occupare case, mettere la legge con le spalle al muro e poi gestire al peggio ciò che carpisce.
Ma questa volta la rivolta ha funzionato: prima delle istituzioni ci hanno pensato gli abitanti dei caseggiati a impedire l’abuso. Al giungere di polizia e Aler, la ragazza incinta era già stata allontanata. Vittima sì, ma anche del risveglio di una voglia di legalità, di giustizia e di partecipazione che non può apparire inappropriata. La pietà deve bussare alla porta che difende le regole della convivenza civile, non scardinarla. Per questo va accolto il segnale che giunge da via Civitali. Il desiderio di legittimità, il no al racket, alla sua logica e ai suoi strumenti, la difesa di una normalità che si declina poi in sicurezza, serenità e ordine, l’alleanza tra cittadini e istituzioni lascia talvolta lacerazioni (che vanno affrontate), ma apre anche a uno stare assieme più dignitoso e più civile.