Corriere della Sera (Milano)

«Sì all’autonomia di ciascun ateneo per la ricerca dell’alta qualità»

- Marco Cremonesi

«Se una università prende una decisione del genere, significa che esistono dei motivi precisi. Che credo vadano cercati nella qualità». Ferruccio Resta è il rettore del Politecnic­o di Milano. E sulla vicenda del numero chiuso in Statale, ricorda che «ragionare su un’università generalist­a è diverso, anche dal punto di vista normativo, rispetto a un Politecnic­o».

Ma lei è d’accordo sul numero chiuso anche nelle facoltà umanistich­e?

«Io condivido al 100% il principio di autonomia di un’università. Che deve poter valutare tenendo conto del contesto in cui è inserita. E ricordo che il nostro modello di finanziame­nto statale alle università è legato al numero degli studenti». Più iscritti, maggiori contributi?

«È così. Un’università, in teoria, potrebbe essere interessat­a ad avere il maggior numero di studenti possibile. Se al contrario decide di limitarli, significa che esiste un problema su ciò che pensa

di poter dare. Borse di studio, aule, residenze, Erasmus, progetti e laboratori». Insomma, una limitazion­e per la qualità?

«Direi di sì. Tra l’altro, il problema potemmo porcelo se l’orizzonte nazionale fosse a tappo: o una certa università, oppure nulla. Invece, il sistema universita­rio è diffuso: se qualcuno non trova spazio in un certo ateneo, esistono molte alternativ­e».

Il numero chiuso serve anche a orientare le scelte degli studenti?

«Penso che la programmaz­ione anche in funzione delle future occupazion­i sia uno dei compiti dell’università. Limitando gli studi con poco sbocco e magari progettand­one altri meglio orientati. Ma il primo punto è la qualità che si riesce a offrire. Lo abbiamo visto con i nostri laureati in settori in crisi: la qualità alta fa sì che trovino comunque occupazion­i in altri settori».

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Politecnic­o Resta, 49 anni

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