«Sì all’autonomia di ciascun ateneo per la ricerca dell’alta qualità»
«Se una università prende una decisione del genere, significa che esistono dei motivi precisi. Che credo vadano cercati nella qualità». Ferruccio Resta è il rettore del Politecnico di Milano. E sulla vicenda del numero chiuso in Statale, ricorda che «ragionare su un’università generalista è diverso, anche dal punto di vista normativo, rispetto a un Politecnico».
Ma lei è d’accordo sul numero chiuso anche nelle facoltà umanistiche?
«Io condivido al 100% il principio di autonomia di un’università. Che deve poter valutare tenendo conto del contesto in cui è inserita. E ricordo che il nostro modello di finanziamento statale alle università è legato al numero degli studenti». Più iscritti, maggiori contributi?
«È così. Un’università, in teoria, potrebbe essere interessata ad avere il maggior numero di studenti possibile. Se al contrario decide di limitarli, significa che esiste un problema su ciò che pensa
di poter dare. Borse di studio, aule, residenze, Erasmus, progetti e laboratori». Insomma, una limitazione per la qualità?
«Direi di sì. Tra l’altro, il problema potemmo porcelo se l’orizzonte nazionale fosse a tappo: o una certa università, oppure nulla. Invece, il sistema universitario è diffuso: se qualcuno non trova spazio in un certo ateneo, esistono molte alternative».
Il numero chiuso serve anche a orientare le scelte degli studenti?
«Penso che la programmazione anche in funzione delle future occupazioni sia uno dei compiti dell’università. Limitando gli studi con poco sbocco e magari progettandone altri meglio orientati. Ma il primo punto è la qualità che si riesce a offrire. Lo abbiamo visto con i nostri laureati in settori in crisi: la qualità alta fa sì che trovino comunque occupazioni in altri settori».