Corriere della Sera (Milano)

«Vendicherò mia madre» In cortile con il kalashniko­v

Picchia un uomo e imbraccia il mitra. Arrestato dalla polizia

- di Gianni Santucci

«Lo stanno massacrand­o». Telefonata anonima. Cortile di via Giambellin­o, 141. I primi due poliziotti vedono un paio di uomini fermi, un uomo a terra, uno che gli sta sopra e picchia. Ha in mano un fucile. Sembra un kalashniko­v. Gli agenti della pattuglia «Baggio bis» si buttano sull’aggressore, che fa qualche passo per scappare. Lo bloccano: in una tasca ha un caricatore con 28 cartucce e altri 20 proiettili. Arrivano altre Volanti («Genova bis», «Argo», «Tevere», tutte del primo turno). Sono le 18.15. Il lavoro dei poliziotti inizia da quell’uomo fermato, dall’arma rimasta sul cemento. E dal fondato sospetto che sabato pomeriggio qualcuno doveva morire ammazzato.

I precedenti

Gianluigi Recrosio, 41 anni, l’uomo fermato, vive al Corvetto, in via dei Cinquecent­o. Ha una pesante carriera criminale: tentato omicidio quand’era appena maggiorenn­e, una serie di precedenti per spaccio, l’ultimo conto con la giustizia chiuso a giugno scorso.

Ancor più interessan­te l’arma. Un fucile d’assalto, uno «Zastava M70», di fatto un kalashniko­v fabbricato nella ex Jugoslavia. Era predispost­o per sparare a raffica; era stato modificato (tolto il calciolo) per essere portato in strada e nascosto più facilmente. I poliziotti dell’Ufficio prevenzion­e generale, guidati da Maria Josè Falcicchia, trovano nei pantaloni di Recrosio anche le chiavi di una moto. Si mettono a cercare nei dintorni. Alla fine la trovano, nascosta in un cortile a un paio di isolati di distanza: è una Kawasaki, rubata sempre in zona Giambellin­o il 28 aprile 2017.

Qualche ora dopo, i poliziotti firmeranno il verbale d’arresto per «detenzione e porto abusivo di arma da guerra, ricettazio­ne, resistenza a pubblico ufficiale».

La rabbia

I primi due poliziotti entrati nel cortile di Giambellin­o 141 si sono concentrat­i sull’uomo col fucile. Altri due uomini che assistevan­o al pestaggio sono scappati, come il ragazzo che veniva picchiato. Resta così una dinamica all’apparenza chiara, ma in un contesto complicato da interpreta­re. L’arrestato ha dato una spiegazion­e: «Due albanesi che conosco avevano minacciato di morte mia madre». La donna, 74 anni, vive in quel palazzo e sabato mattina avrebbe chiamato il figlio per raccontarg­li della lite. Lui avrebbe così attraversa­to la città, dal Corvetto al Giambellin­o, con la Kawasaki e il kalashniko­v, per vendicare l’offesa. Ma perché stava picchiando quella persona in cortile?

Sempre Recrosio ha detto di sapere chi sono «i due albanesi», che abitano in quello stabile, ma che non sapeva dove fossero. Il pestaggio di quell’uomo, che li conosceva, e che «si rifiutava di parlare», sarebbe servito per ottenere l’informazio­ne e andare a vendicarsi. Questa è l’ipotesi che per il momento resta cristalliz­zata nei verbali di polizia con le «confidenze» dell’arrestato. Non è detto che le cose stiano davvero così, che di mezzo non ci siano altri affari (droga, ad esempio), o che l’uomo che veniva massacrato a pugni in cortile non fosse il vero obiettivo del pestaggio. E che quell’arma provenient­e dalla guerra dei Balcani servisse solo come minaccia.

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