«Quando leggerete questa lettera io sarò già morto»
Prima del suicidio assistito in Svizzera l’ingegnere di Albavilla ha scritto al sindaco. ProVita: è omicidio
La sola cosa che non aveva immaginato, probabilmente, era il clamore che avrebbe suscitato la sua morte. Per il resto, l’ingegnere di Albavilla che per una grave forma di depressione ha scelto di ricorrere al suicidio assistito in Svizzera aveva pensato a tutto: «Ci ha fatto avere una lunga lettera, tre pagine di testo, parole lucide e non improvvisate — conferma il sindaco del paese, Giuliana Castelnuovo —. Ha spiegato quello che provava, quello che avrebbe fatto e quello che avrebbe voluto dopo». La «dolce morte» di Maurizio Brambilla, 62 anni, ha invece riaperto il dibattito e le polemiche sul suicidio assistito, oltre a finire al centro di un’inchiesta della Procura di Como, che dovrà accertare se siano stati commessi eventuali reati.
«Questa vicenda ha toccato tutti, fa riflettere — dice il sindaco di Albavilla —. Il caso però esula dal dibattito sul fine vita, perché non stiamo parlando di un malato terminale ma di una persona depressa. E dalla depressione si può guarire». L’ingegnere non era seguito dai servizi sociali, ma era in cura in un centro specializzato per i problemi psichici. «La sua situazione era nota — aggiunge Castelnuovo —. Credo che la morte prima del fratello e più recentemente della mamma lo abbiano segnato. Quando in Comune abbiamo ricevuto la sua lettera, lui era già morto. Lo aveva addirittura scritto “Carissimi, se riceverete questa mia nota non ci sarò più” sono le sue prime parole. Ci siamo comunque rivolti subito ai carabinieri».
Per il suicidio assistito l’ingegnere si è rivolto alla clinica specializzata Dignitas di Zurigo. L’associazione Exit-Italia, che propone il testamento biologico, considera «una vittoria» la possibilità di accedere a questa procedura per le persone depresse, anche in assenza di altre patologie, e contesta l’intervento della procura nella vicenda. «È ora di cambiare la legge — attacca il presidente Emilio Coveri —. Gli italiani non devono più essere costretti a morire in esilio».
Opposta la posizione di ProVita: «L’ingegnere era depresso e la depressione è la causa principale dei suicidi — dice il presidente Toni Brandi —. Chi soffre di depressione, come ogni malato, ha diritto di essere curato, non ammazzato. La cultura della morte che dilaga ci rende insensibili al verificarsi di episodi come questo. Non dobbiamo perdere il lume della razionalità, chi aiuta qualcuno a suicidarsi è di fatto un omicida e ci auguriamo che la procura accerti le responsabilità. La vita va rispettata sempre».