Concessionaria fantasma La pista dei campi rom
Caccia al complice. Le «tracce» sui conti bancari
Le indagini sulla concessionaria fantasma potrebbero essere più brevi di quanto inizialmente temuto. Non tanto dal punto di vista temporale, poiché gli accertamenti restano complicati, quanto da quello geografico. La principale pista battuta dai carabinieri del Comando provinciale, alla ricerca di tutti i responsabili della truffa ai danni di una ventina di clienti per un «guadagno» non inferiore ai 300mila euro e forse pari a un milione, porta ai campi rom.
Manca una specifica, eventuale localizzazione, motivo in più per evitare stupide generalizzazioni sugli insediamenti dei nomadi; ma appare adesso probabile che a capo del piano criminale vi siano dei rom, che avrebbero già «firmato» in Italia, e forse a Milano, ingenti colpi con la tecnica letale del
rip-deal, che solitamente si configura con un fraudolento scambio di valuta. Le certezze, è un dato di cronaca, sono meno dei punti fumosi, e rappresenta un inganno alle vittime promettere che avranno indietro a breve le intere somme perdute. Somme che erano state versate con bonifici per acquistare macchine di pregio (Porsche, Bmw, Audi, Range Rover) in quella concessionaria aperta in primavera negli spazi in affitto di un locale a Dergano, in via Butti, e poi chiusa (e svuotata) nella notte tra il 25 e 26 luglio. Quelle vetture erano di seconda mano, provenivano dalla Germania e avevano un chilometraggio limitato poiché in precedenza erano state utilizzate soltanto per dei test. Il prezzo delle macchine era inferiore rispetto ai listini ma non di molto; un divario maggiore avrebbe insospettito i clienti i quali, avendo recuperato l’indirizzo della concessionaria sul sito «Autoscout24», assai utilizzato e raccomandato da chi deve comprare un’auto, si erano fidati. Avevano visto e provato le macchine, e avevano effettuato il pagamento, sicuri dell’af- fare. Titolare della concessionaria era Giuseppe Salvatore Turco, scovato dai carabinieri a Trento, dove aveva un domicilio e dove forse si era fermato per scappare verso l’ex Jugoslavia; le ricerche patrimoniali avevano dato esito negativo e lo stesso Turco aveva giurato di non saperne niente, in quanto non era stato lui la mente e l’organizzatore della stangata. In effetti gli investigatori cercano un’altra persona, ex socio dello stesso Turco, forse latitante all’estero, in possesso di numerosi segreti. Sarebbe lui il punto di unione con i nomadi che hanno architettato la truffa. Difficile anche sapere dove siano le vetture: potrebbero essere fuori dall’Italia e magari già vendute. Fonti investigative sostengono che una traccia, pur se flebile, sarebbe stata individuata per provare a mappare il flusso del denaro. Le banche alle quali si era appoggiato Turco per i versamenti erano state tre. Da Milano gli euro erano stati immediatamente spostati, probabilmente utilizzando un’ampia «piramide» di conti per depistare i carabinieri. Quel che Turco sapeva, cioè quasi niente di utile, interrogato a più riprese l’ha confessato. Non è un duro, capace di resistere alle domande insistite dei carabinieri, e men che meno è un criminale vecchio modello, che piuttosto marcisce in galera ma non venderebbe mai gli amici. Decisiva diventa l’individuazione del complice, abile a svanire senza commettere errori. Quantomeno finora.