«Niente vantaggi a Malangone dal suo ok al viaggio Expo»
I motivi dell’assoluzione: da Maroni solo «una rinnovata richiesta». «Equivoca la posizione di Sala sulla contrarietà»
Il reato di «induzione indebita a dare o promettere utilità» ha bisogno, tra i vari elementi costitutivi, che per la persona «indotta» sia prospettabile un vantaggio indebito o una minaccia ingiusta. Ma nel caso dell’ex direttore generale di Expo Christian Malangone, e del suo sms «ok capo allineato» il 20 maggio 2014 a proposito della trasferta a Tokyo di una collaboratrice di Roberto Maroni in una missione Expo che il presidente della Regione caldeggiava a spese di Expo, ad avviso della Corte d’Appello non c’è stato né l’uno né l’altro: da un lato «non si trova traccia che il portavoce di Maroni, Ciriello, abbia per conto di Maroni prospettato un qualche vantaggio indebito a Malangone», e dall’altro lato non esiste «alcuna prova della prospettazione di un danno ingiusto», tutt’al più «una supposizione di Malangone». Il giudice relatore Guido Piffer argomenta così l’assoluzione il 13 settembre in Appello e la cancellazione dei 4 mesi di pena in primo grado.
Maroni, nel processo stralciato in cui è coimputato e che riprenderà a fine mese, è immaginabile si gioverà del passaggio nel quale la Corte valuta che «le pressioni» che l’accusa gli contesta «appaiono qualificabili al più come una rinnovata richiesta» di ok alla autorizzazione della missione della Paturzo, richiesta «peraltro nemmeno minimamente paragonabile» alla vicenda della «assunzione della Paturzo in Expo fatta solo per assecondare le pressanti richieste di Maroni: ora, se queste non hanno dato luogo ad alcuna contestazione», ai giudici Piffer-Galli-Marcantonio «appare intrinsecamente contraddittorio anche solo ipotizzare che siano state così intense da raggiungere la soglia della rilevanza penale» nella storia del viaggio a Tokyo «con una richiesta di ben minore spessore».
La Corte d’Appello rimarca che l’unica ragionevole interpretazione processuale del famoso sms di Malangone («capo allineato») non è quella data dall’allora n.1 di Expo e attuale sindaco, il teste Beppe Sala, e cioè che Malangone avrebbe inteso dire «capo informato» e prendere tempo, ma è «via libera all’autorizzazione» nonostante l’apparente contrarietà di Sala. Poi però i giudici aggiungono che ciò «presenta pur sempre una incongruenza», nel senso che, visti i rapporti di super fiducia tra i due, «è ben strano che, malgrado la contrarietà di Sala, Malangone abbia comunque deciso di assecondare Maroni». Sul tema della sua contrarietà, «la posizione di Sala resta quanto meno equivoca», e l’incongruenza potrebbe essere «superata solo affermando che in realtà il 28 maggio Sala avesse finito per cedere alle insistenze di Maroni e quindi avesse detto a Malangone che poteva gestire lui la situazione. Tuttavia non è stato sostenuto nemmeno dall’imputato».