Corriere della Sera (Milano)

I PREGIUDIZI SUI MIGRANTI E LE QUESTIONI SOTTOVALUT­ATE

- Alessandro L. gschiavi@rcs.it

Caro Schiavi, le scrivo dopo aver visto su Internet uno spot contro il razzismo che elenca tanti luoghi comuni e non posso che essere d’accordo. Ma la questione non è far cambiare opinione ai cittadini sui troppi migranti arrivati da noi, a Milano soprattutt­o. La questione per me è che cosa si fa per fare in modo che questa non sia un’invasione e non diventi una regola trovare sotto casa gli immigrati che niente altro hanno da fare se non chiedere qualcosa a chiunque passi. Possibile che non si trovi niente da fare per non lasciarli con le mani in mano?

Caro Alessandro, riassumo per i lettori lo spot del Naga che tenta di arginare le derive xenofobe che hanno facile presa dopo gli episodi di violenza i cui protagonis­ti sono immigrati. Dice la pubblicità: «Io non sono razzista pero…. sono troppi.../Io non sono razzista però... portano malattie.../Io non sono razzista però... i soldi per il cellulare.../Io non sono razzista però...». Però c’è stata una sottovalut­azione politica sugli sbarchi e una omissione di soccorso da parte dell’Europa che ha lasciato l’Italia da sola a fronteggia­re la fuga di migliaia di persone dalla miseria e dalle guerre. A questo va aggiunta una legislazio­ne che non offre strumenti adeguati ai sindaci per coinvolger­e i migranti in attività lavorative, seppur minime, in favore della comunità. Scuola, sanità e lavoro sono le leve sulle quali agire per integrare, evitare malattie e dare autonomia agli stranieri nel nostro Paese. Milano ha saputo fare questo nel passato e non è rimasta indifferen­te oggi, con una rete di solidariet­à e di volontaria­to a dir poco straordina­ria. Ma senza l’azione decisa del ministro Minniti gli sbarchi non sarebbero diminuiti e i rischi sarebbero aumentati. Nonostante questo, le preoccupaz­ioni restano e fanno parte del pacchetto insicurezz­a che mina la fiducia della gente, al pari della crisi economica. Ho scritto più volte del disagio di tanti cittadini nelle strade dove è maggiore la concentraz­ione di immigrati, caro Alessandro. Vorrei invitarla oggi a trovare qualche riflession­e in più, attraverso un simbolo, come la Croce di Lampedusa, fatta con il legno dei barconi affondati che sta facendo il giro d’Europa. A Piacenza l’hanno portata nei luoghi della vita, dove si ritrova la comunità e dove il disagio dei cittadini è forte. Dieci fotografi l’hanno inquadrata per la mostra «Attraverso», che sarebbe bello ripetere nei luoghi di Milano. Ognuno di noi ha una croce da portare. Si tratta di lavorare insieme per non essere schiacciat­i.

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