Mehta con i Wiener «Sono inconfondibili»
«IWiener Philharmoniker sono inconfondibili. Non solo il suono complessivo dell’orchestra, ma lo stile, il fraseggio degli archi, ogni singolo fiato: anche alla radio si capisce se è un oboe, un fagotto o un clarinetto dei Wiener. Così come si capisce se sono loro ad eseguire un valzer di Strauss: l’eleganza, la sprezzatura e la libertà con cui li eseguono sono inimitabili». Zubin Mehta conosce come pochi la mitica orchestra viennese: la dirige da 56 anni, con loro è andato in mondovisione per il concerto di Capodanno, con loro è stato alla Scala dove torna anche stasera, evento straordinario sostenuto da Deutsche Bank a favore del Fai (ore 20, Scala, € 50-310, tel. 02.46.76.15.270). L’accenno alle linee degli archi e alle voci dei fiati non è casuale: tra l’ouverture «Tragica» di Brahms e il Concerto per orchestra di Bartok campeggia la Sinfonia Concertante per oboe, fagotto, violino e violoncello di Haydn, che vedrà solisti le prime parti dei Wiener. Profondo è il legame con Vienna prima ancora che coi Philharmoniker: «Ci arrivai nel 1954, mi accolsero con curiosità e gentilezza; a quei tempi non c’erano ristoranti indiani, così feci scoprire i nostri cibi invitando alcuni compagni e colleghi a casa mia: fu un bel modo per gettare ponti e stringere amicizie». Furono soprattutto anni decisivi per la sua formazione: «Frequentavo l’accademia di Swarowski, andavo alle prove dei Wiener, sul podio c’erano giganti come Kleiber, Bohm, Karajan: imparai tantissimo». La prima volta che li diresse aveva 25 anni: «Non mi tremavano le gambe ma ero nervoso, quello sì. Iniziai con la sinfonia di Stravinskij, sapevo che non era un brano molto noto». Il suo rapporto con la Scala iniziò 55 anni fa con un episodio che Mehta ricorda sempre con ironia: «Mi invitò il direttore artistico Siciliani, ma il sovrintendente Ghiringhelli era perplesso: abbiamo appena invitato un giapponese (Ozawa, ndr) diceva, ora anche un indiano? Arriverà col turbante...». Il debutto non fu trionfale: «Avevo proposto Webern e Schönberg, mi lasciarono fare ma la sala era mezza vuota…».