Tra il museo Ala Ponzone, il Duomo e il Palazzo Comunale una mostra celebra il più importante pittore del barocco cittadino
Era la sorte dei «foresti» che si trasferivano a vivere in una nuova città: venire «ribattezzati» col nome del luogo d’origine. Toccò anche a Luigi Miradori, detto il Genovesino perché, come precisava nella sua stessa firma «januensis», era nato a Genova forse nel 1605. Nella città della Lanterna completò la formazione artistica, ma già nel 1632 lo troviamo nella Piacenza dei Farnese, città che non gli portò alcuna fortuna visto che in soli tre anni fu colpito da una catena di gravissimi lutti familiari e non rimediò nemmeno le committenze in cui sperava. Gli bastò però spostarsi di soli 40 chilometri a est, a Cremona, per trovare finalmente il suo luogo d’elezione. Nel dicembre del 1639, acquista una casa nella contrada di San Clemente in Gonzaga, dietro il Duomo, e risulta ben inserito fra i notabili locali. I suoi dipinti compaiono sugli altari delle chiese e nelle collezioni delle famiglie patrizie così numerosi che da Cremona il Genovesino non si sposterà più e per vent’anni, fino alla morte avvenuta nel 1656, diventerà il protagonista incontrastato della pittura barocca locale.
Ora la città gli dedica una mostra di 50 dipinti distribuiti in un breve itinerario fra il museo Ala Ponzone, la magnifica Cattedrale e il palazzo del Comune dove si può ammirare il telero con la «Moltiplicazione dei pani e dei pesci», la principale commissione pubblica ricevuta dal Genovesino. L’occasione offre la possibilità di presentare i risultati dei nuovi studi sul pittore di cui fu capostipite una grande storica dell’arte cremonese: Mina Gregori che dedicò al Genovesino la tesi di laurea discussa a Bologna nel 1949 con Roberto Longhi. Curata da Francesco Frangi, Valerio Guazzoni e Marco Tanzi, la mostra raccoglie pale d’altare provenienti dalle chiese lombarde e tele da musei e collezioni private che riflettono la varietà dello stile e dei soggetti frequentati dall’artista consapevole della sua indole non convenzionale tanto da firmare due opere con la formula «gioco di pennelli di Luigi Miradori». Una di queste è «Il riposo durante la fuga in Egitto», terminata nel 1651 per la chiesa di Sant’Imerio. Un dipinto che, secondo l’entusiastico parere di Vittorio Sgarbi, non teme il confronto «Con il più bel Riposo della storia dell’arte, quello di Caravaggio alla Galleria Doria Pamphilj», in questi giorni peraltro visibile nella mostra di Palazzo Reale a Milano. Fra le opere di soggetto profano, invece, sono numerose le «Vanitas», con putti addormentati accanto a teschi, e i ritratti, il più noto e superbo dei quali riproduce il piccolo erede di una delle principali famiglie cremonesi protettrice del Genovesino: Sigismodo Ponzone con il cane. Un’altra figura fondamentale fu il governatore e castellano spagnolo don Alvaro de Quiñones, che prese il Miradori sotto la sua protezione conferendogli uno stipendio nonché una carrozza con lo staffiere.