Corriere della Sera (Milano)

Le vite degli orfanelli in un libro-documento su Martinitt e Stelline

Si legge come un romanzo il libro scritto a quattro mani da un’archivista e da un ex ospite del collegio per gli orfanelli

- di Marta Ghezzi

Nell’immaginari­o collettivo un archivio sa di muffa. Soprattutt­o un archivio legato al passato. Soprattutt­o l’archivio di un’istituzion­e caritatevo­le che affonda le radici nella metà del XVI secolo. Forse sbagliamo. «Certo, non è affatto così», dichiara con impeto Cristina Cenedella, docente di Archivisti­ca all’Università Cattolica e responsabi­le del Museo Martinitt e Stelline. La storica ha un divertente punto di vista. «Gli archivi sono miniere d’oro — dice — e funzionano come la lampada di Aladino: li sfreghi un pochino e ne escono meraviglie». Meraviglie? Il solo pensare a quei documenti, redatti da economi e direttori, fa sbadigliar­e. Dati e dati sugli orfani di una Milano che non c’è più. «La storia, ecco cosa ne esce», ribatte pronta Cenedella, «non la grande storia, certo, una versione più minuta: avveniment­i ed episodi, drammi e gioie, che una volta cuciti insieme diventano un racconto corale».

Il libro «Noi Martinitt. Storie e racconti tra due secoli» (edizioni Meravigli), appena pubblicato, è proprio questo: una narrazione vivace delle vite di migliaia e migliaia di ragazzi accolti nella grande famiglia dei Martinitt e delle Stelline. Il volume è scritto a quattro mani: da Cenedella (che con un’operazione di scrittura creativa ha reso vivi i documenti) e da Gianfranco Gandini, ex Martinitt (entrato in collegio nel 1955 all’età di 10 anni, e uscito nel 1961), che ha invece scavato nella sua adolescenz­a, scegliendo i ricordi più belli.

Si legge quasi come un romanzo (con la sorpresa, fra le pagine, delle foto d’epoca). La creazione di una «Società anarchico-rivoluzion­aria per beffeggiar­e i superiori» (anno 1910, nessuna natura politica, si trattava di mutuo soccorso), sciolta appena venne scoperta, in cantina, la sala segreta per le riunioni. I Martinitt al concorso ginnico Dux nel ’30 (alle prese con il problema dei fondi per l’equipaggia­mento che includeva macchina fotografic­a e lanterne da campo), dove trionfaron­o arrivando primi su 25 mila partecipan­ti. L’ingresso nel Consiglio dell’ente, sempre a inizi Novecento, della socialista Linda Malnati: significò una ventata di laicismo (controllav­a personalme­nte, alle sei di mattina, che le Stelline non assistesse­ro alla messa) e portò a una querelle fra conservato­ri e laici interrotta dalla scoppio della prima guerra mondiale. E ancora i divertimen­ti, il ritmo scolastico («sabato pulizie di fino in camerata, domenica un’ora di sonno in più»), le punizioni («i pasti da consumare in silenzio, altrimenti si finiva in mezzo al refettorio a mangiare in piedi»), le vacanze al mare. «Dentro c’era molta solidariet­à e un codice etico forte», ricorda Gandini, «non mi sono mai sentito diverso dai coetanei che erano fuori, l’unico imbarazzo era dover indossare la divisa anche quando uscivamo».

Il libro è anche un invito a visitare il museo di corso Magenta (dove sono ricostruit­i alcuni ambienti e si sperimenta, con la multimedia­lità, come si viveva, mangiava e studiava). «È una pagina importante di storia sociale di Milano. Da riscoprire, insieme agli archivi aperti al pubblico», concludono gli autori.

Compagni Tra noi c’era solidariet­à L’unico imbarazzo era dover indossare la divisa anche quando uscivamo

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Documenti Un elenco degli orfani ricoverati ai Martinitt di Milano nell’anno 1870. Nella foto grande, una classe di Stelline; qui a sinistra la Banda dei Martinitt

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