Il sogno di Jacopo Fo «Un atelier per gli artisti nella casa di famiglia»
Il figlio Jacopo: «Vorrei trasformare la casa di Porta Romana in un ritrovo per artisti»
Mercoledì 13 sarà passato un anno da quando Dario Fo è mancato e a Milano si ricorda un Fo antagonista e civile, come testimonia la recente intitolazione della Palazzina Liberty a lui e a Franca Rame, e un Fo privato al culmine della fama mondiale: esattamente vent’anni fa gli veniva assegnato il Premio Nobel per la Letteratura. Parte da quei giorni, e dai servizi scritti per il «Corriere», il viaggio di Giuseppina Manin in «Ho visto un Fo» — in uscita per Guanda il 12 ottobre. Un libro che segue il maestro quando andò a Stoccolma per la cerimonia d’assegnazione. L’autrice, con letture di Mario Pirovano e Sara Bellodi, ne parla oggi alle ore 18 al Piccolo Teatro (via Rovello 2, ingr. gratuito) con un testimone d’eccezione, il figlio Jacopo Fo che abbiamo intervistato.
Come si sentì quando suo padre vinse il Nobel?
«È stato molto emozionante, ma forse nella famiglia Fo meno che in altre, perché mia nonna gli diceva da sempre ‘Tu prenderai il Nobel’. Per cui quando l’ha vinto, ironicamente in casa dicevamo “aveva ragione la nonna”».
Ricorda come gliel’annunciarono?
«Stava facendo un programma tv, in macchina, con Ambra Angiolini. La regia Rai li superò con un foglio sul finestrino per dirglielo. Si sono fermati in autogrill e papà ha offerto a tutti un happening. Arrivati a Milano c’era la banda in cortile ed è stata una festa».
I materiali di Dario Fo e Franca Rame sono all’Archivio di Stato di Verona, ma ha progetti a Milano per renderne viva l’eredità?
«Vorrei trasformare la loro casa in Porta Romana in una casa d’artisti che sia punto d’incontro tra le associazioni che fanno teatro e arte, ospitando intellettuali di rilievo internazionale che promuovano Milano».
Ricorda uno spettacolo dei suoi genitori con particolare affetto?
«Sì, “Pietro d’Angera che alla crociata non c’era”. Mi faceva morir dal ridere, ma non lo portarono mai in scena. Tra i noti, “Mistero buffo” e ho ricordi splendidi delle prime pièce come “Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri”. Tutti i personaggi avevano le pistole e sparavano in scena: a sei anni ne ero entusiasta».