La squadra indiana della ricerca «Qui in 11 per battere i tumori»
Medici, biologi e ingegneri nei laboratori Ifom: «Impegno e qualità della vita»
Nei laboratori di via Adamello i colleghi dell’Ifom dicono che si è formata una «Bollywood della ricerca» quando raccontano della piccola comunità di indiani impegnati nella lotta contro il cancro. Sono undici studiosi, quattro le donne, età media tra i 23 e i 35 anni, laureati in biologia e medicina ma anche in ingegneria e informatica, le competenze più richieste nei laboratori dove si cercano cure per i tumori.
Si fermano per progetti di tre, cinque anni con finanziamenti e borse di studio della comunità europea e di associazioni come Airc e Telethon.
Alcuni contano di rimanere in Italia anche a studi conclusi, altri puntano a proseguire in laboratori in Europa per poi tornare in India. Nei loro anni milanesi scelgono l’immersione totale, frequentano i colleghi italiani, accettano i loro inviti in famiglia e organizzano cene indiane per raccontare il loro Paese, visitano città d’arte, scoprono la montagna, imparano a cucinare spaghetti.
Così si racconta il gruppo impegnato nei laboratori del centro creato nel ‘98 dalla Fondazione per la ricerca sul cancro che oggi ha un’équipe di 276 studiosi e oltre il venti per cento sono stranieri, tutti accolti da un «welcome office» con specialisti che li assistono dalle pratiche burocratiche di ingresso nel Paese alla ricerca di un appartamento.
Divya Purushotaman, 37 anni, laurea in biologia, studi a Bangalore e poi a Cambridge da lì, indirizzata da colleghi italiani, è arrivata a Ifom sei anni fa e oggi lavora con Francesco Blasi, tra i fondatori del centro. «Il livello della ricerca era alto in Gran Bretagna ma mi sono trovata meglio con gli italiani e ho presentato la mia domanda qui. Adesso vorrei provare a restare», racconta. E dice del suo impegno in laboratorio dove studia meccanismi di regolazione di geni coinvolti nella formazione di tumori e anche della vita in città, delle passeggiate sui Navigli e in Brera, delle vacanze in montagna.
«Oltre alla sede milanese Ifom ha laboratori specializzati in medicina rigenerativa anche a Bangalore e Singapore, sono frequenti i contatti con ricercatori indiani e questo facilita il reclutamento di giovani promettenti», spiega Marco Foiani, direttore scientifico di Ifom. Così è andata per Gururaj Rao Kidiyoor, 27 anni e laurea in ingegneria, che da Bangalore ha inviato la domanda a Milano ed è stato subito selezionato, «un ingegnere che vuole fare ricerca sul cancro dimostra un’apertura mentale singolare», dicono all’Ifom.
«Ho avuto due borse di studio dell’Airc e sarò qui fino al 2019, mi occupo di meccanismi di riparazione del danno al Dna — spiega il ricercatore —. Poi vorrei proseguire gli studi in Svizzera o Gran Bretagna o Scandinavia. Dell’Italia ho apprezzato il livello della ricerca, che è alta nelle fondazioni private, con più risorse. Ed è alta anche la qualità della vita, qui ho visto per la prima volta la neve, ho imparato lo snowboard, sono stato al Teatro alla Scala per l’Aida e ho prenotato la visita al Cenacolo». Fra chi vorrebbe fermarsi a Milano anche Ramveer, laurea in biologia molecolare, qui da quattro anni. E Sheetal, anche lei biologa, sposata con un ricercatore chimico che lavora in Corea del Sud e dice anche dei sacrifici: «Ci incontriamo ogni due o tre mesi, a Milano,
in Grecia, ad Amsterdam o a metà strada, a Dubai».
Le loro storie si aggiungono a quelle di altri indiani reclutati negli anni passati, almeno quindici all’Ifom, alcuni di loro sono ancora a Milano, come Ganesh che adesso è impegnato al San Raffaele, altri sono ripartiti come Pawan che oggi è a Manchester con la moglie Sonia e con il loro bimbo, nato a Milano.