Rifugiati Football Club
Corelli Boys, la squadra dei richiedenti asilo, debutta in un campionato ufficiale La prima partita è finita 3-3
Un pareggio che vale come una Coppa del Mondo. Grandinano gol e emozioni per il debutto in campionato, domenica scorsa, dei Corelli Boys, la squadra dei ragazzi richiedenti asilo del Centro di via Corelli. Un 3-3 (finendo in 10 per un espulsione) alla prima giornata che corona il loro primo sogno: iscriversi a un campionato Uisp (Unione italiana sport per tutti). Come quello che giocano altri ragazzi come loro: quelli italiani. E siccome da queste parti non esistono sponsor, ce l’hanno fatta grazie al crowdfunding. La prima campagna di finanziamento pubblico ha fruttato 5.600 euro per pagare parastinchi, palloni, maglie. Il salvadanaio verrà riaperto dato che servono altri soldi per coprire i costi del campo di casa e delle trasferte. Che per ora hanno un fascino (oltre che un mezzo di trasporto) antico: ritrovo alla fermata del 38 e si va in autobus.
Samba Soo ha sempre giocato a calcio. Fino a due anni fa in Senegal era considerato un grande talento. In Italia è arrivato da richiedente asilo. Oggi è il capitano di una squadra senza bandiera, che condivide lo stesso passato. Maglia nera, calzettoni rossi. Età media 20 anni. Una ventina di ragazzi: arrivano da Camerun, Nigeria, Siria e Libia: «Gli allenamenti restano aperti. Abbiamo un gruppo su WhatsApp per darci appuntamento ma anche per commentare le partite. Il passaparola attira molti ragazzi, anche se poi qui devono garantire impegno», spiega Samba. Chi sgarra finisce in tribuna a tifare. Samba oltre che leader della squadra fa anche da traduttore. Qui si parlano una decina di lingue, in pochi sanno l’italiano. Gli allenamenti, due volte a settimana, sul prato del parco Forlanini. Sgambata e parte tattica. «Hanno fisico, talento. Giochiamo un 4-3-3 offensivo ma visto il risultato dell’esordio c’è da lavorare tanto sulla difesa», spiega l’allenatore (volontario) Luis Patino, peruviano. Come è finito su questa panchina? «Due anni fa ho visto giocare alcuni di questi ragazzi. Gli ho detto: “Se volete fare qualcosa di serio chiamatemi”. Ora, nelle amichevoli, i presidenti delle altre squadre vorrebbero portarcene via tanti. Però poi ci sono problemi logistici: altrove si allenano di sera. Al Centro di Corelli i cancelli chiudono a mezzanotte».
All’allenamento i ragazzi arrivano sparpagliati dal Centro. Una minima flessibilità d’orario è concessa solo a chi lavora: buttafuori, mediatore culturale, panettiere. Per tutti gli altri invece il campo da calcio è l’unico contatto con la vita vera. C’è chi va a riempire le borracce nelle fontanelle, i nuovi entrati che cercano di fare bella figura nella partitella in cui sfidano i titolari. Per ora gli aiuti sono arrivati dal basso. Per questo quando si torna a parlare di sogni, in tanti vorrebbero poter incontrare i campioni di Milan e Inter: «Vorrei stringere la mano a Franck Kessie, perché ha la mia età e come me arriva dalla Costa d’Avorio. E lui è uno che ce l’ha fatta», dice Moussa. Dietro al progetto dei Corelli Boys c’è soprattutto un’ambiziosa sfida di emancipazione sociale. Pochi metri dietro la porta da calcio scorre il traffico verso l’aeroporto di Linate. Forse un giorno ci sarà uno spogliatoio dove fare la doccia Ma il calcio è una pietra che rotola. Per ora qui, basta davvero così.