Corriere della Sera (Milano)

UN LAMPO DI GIUSTIZIA NEL TERRORE

- Di Alessandra Coppola

La condanna all’ergastolo, martedì, da parte della prima Corte d’Assise di Milano, del torturator­e di migranti in Libia è straordina­riamente importante. Innanzitut­to perché indica che nella trama sfuggente e viscida del traffico di esseri umani, dove sembra impensabil­e tirare un filo certo e arrivare a un responsabi­le; in tutto questo caos, ecco, è possibile far giustizia, addirittur­a in tempi brevi, con un impianto accusatori­o così solido da garantire il massimo della pena. Non era scontato, ed è un precedente importante. Il punto di partenza è stato quasi casuale: Osman Matammud, 22 anni, somalo, a gennaio è stato riconosciu­to (e quasi linciato) in un centro per richiedent­i asilo a Milano da altri ospiti che erano passati per il suo lager libico. Da qui, il pubblico ministero Marcello Tatangelo è riuscito a ottenere che il processo si facesse in Italia; che i rifugiati, da lui atrocement­e seviziati, accettasse­ro di testimonia­re; che si riuscisse a documentar­e l’orrore di uno dei molti campi di concentram­ento di migranti in Libia. Esistono ormai diversi procedimen­ti in Italia che cercano di rintraccia­re i trafficant­i di esseri umani, responsabi­li di migliaia di vittime tra il deserto e il mare. Il punto debole è che, però, spesso si basano su intercetta­zioni, tra apparecchi che passano di mano in mano e dialetti indecifrab­ili. Coinvolger­e i rifugiati nel riconoscim­ento dei loro aguzzini (che spesso, come Osman, dopo aver guadagnato sulle traversate, si trasferisc­ono a loro volta in Europa) apre a nuove possibilit­à di giustizia.

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