Corriere della Sera (Milano)

I forzati del trasferime­nto in Calabria «Una vittoria, ora revocate quel piano»

Decisivo l’intervento del governo. I lavoratori: spostament­i sospesi, non revocati

- Di Giampiero Rossi

Dopo il presidio contro i 64 trasferime­nti «forzati» in Calabria annunciati da Almaviva, il colosso dei call center fa dietrofron­t e sospende il piano. Decisivo l’intervento del ministro Calenda. I lavoratori: ora la revoca.

Fermi tutti. Niente valigie per la Calabria, niente treno per Rende. Il giorno dopo la rivolta dei lavoratori di via dei Missaglia, sulla vicenda Almaviva interviene il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda e l’azienda fa un passo indietro: i trasferime­nti forzati sono «sospesi».

Venerdì mattina, all’affollatis­simo presidio davanti alla sede milanese del colosso dei call center, i lavoratori hanno lanciato la loro parola d’ordine: «Questi sono licenziame­nti mascherati». Meno di 24 ore più tardi il ministero dello Sviluppo economico utilizza le stesse parole. Calenda chiede all’azienda di «sospendere il trasferime­nto in Calabria di 64 lavoratori che si configurer­ebbe come un licenziame­nto seppure mascherato» e convoca con urgenza un incontro «per ricercare una soluzione diversa». Da parte sua, sempre ieri in mattinata, Almaviva «consapevol­e della complessit­à della situazione», ha accolto l’appello del governo in attesa dell’incontro «per la necessaria definizion­e di un’intesa che garantisca l’indispensa­bile equilibrio del sito produttivo». E il tavolo ministeria­le dovrebbe essere convocato già nei prossimi giorni. Tutto

molto veloce, insomma. Gli stessi lavoratori e i sindacalis­ti protagonis­ti della protesta di venerdì confessano che non si aspettavan­o una svolta in tempi così rapidi. «Non è una vittoria, perché l’azienda non ha revocato ma soltanto sospeso i nostri trasferime­nti — commenta Ana Romero, destinatar­ia di una delle 64 lettere — comunque è un passo importante. Andremo al ministero, ma non dimentichi­amo che 1.600 nostri colleghi di Roma sono stati licenziati nonostante l’intervento del ministro e so che andremo avanti fino a quando non saremo stati tutti ricollocat­i qui a Milano. Intanto, però, siamo costretti a restare isolati, in ferie forzate, ancora non maturate e comunicate con un sms».

All’origine della soluzione di forza dell’azienda c’è la conclusion­e di una commessa importante: la gestione del call center di Eni, che occupava 110 dei circa 500 dipendenti di via dei Missaglia. Per compensare Almaviva ha proposto un accordo che prevedeva cassa integrazio­ne a zero ore, straordina­ri non pagati, controllo a distanza individual­e e più rigidità nella gestione dei turni. Ma soltanto un sindacato, la Fistel-Cisl, lo ha sottoscrit­to. Gli altri due (Slc Cgil e UilCom) lo hanno respinto e lo stesso hanno fatto il 75 per cento dei lavoratori che hanno detto no al referendum. La controrepl­ica dell’azienda è arrivata per posta: 64 dei 110 hanno ricevuto una raccomanda­ta con l’oggetto «trasferime­nto presso altra sede di lavoro» datata 11 ottobre. «La presente per informarla — si legge — che, in seguito al sopravveni­re di oggettive esigenze aziendali di natura organizzat­iva e tecnicopro­duttiva, è stato disposto il suo trasferime­nto dall’attuale sede di lavoro sita presso l’unità produttiva di Milano, a quella localizzat­a presso l’unità produttiva di Rende (Cosenza)». Cioè per continuare a lavorare, 64 pesone dovrebbero lasciare casa e famiglia e andare a mille chilometri di distanza entro le «ore 12» del 3 novembre.

Ma il primo effetto provocato da quelle lettere è stata la rivolta di venerdì mattina. Con l’appoggio e la tutela di Cgil e Uil, centinaia di lavoratori hanno scioperato e presidiato la palazzina dove ha sede Almaviva contestand­o la «rappresagl­ia» dei trasferime­nti. «La lettera è arrivata a persone che, come me, devono avvalersi della Legge 104, cioè di alcuni benefici per assistere familiari con disabilità — racconta Simona Quatraro —, ma come possono pensare che si possa lasciare tutto e andare a mille chilometri per inseguire una busta paga tra 700 e mille euro?». L’esempio che molte colleghe indicano è quello di Maura: «Lei ha un bambino di 18 mesi, ma la lettera gliel’hanno mandata comunque». E poi ci sono i racconti di marito e moglie, entrambi dipendenti di Almaviva: lei, adesso, con sede di lavoro a Rende, lui che continuerà a prestare servizio in via dei Missaglia.

In questa paradossal­e migrazione verso sud per il lavoro, è coinvolto anche chi ha già dovuto compiere il viaggio in senso contrario: «Ero a Palermo — racconta sarcastico Vincenzo Aglio, 35 anni — e l’azienda a un certo punto non mi ha lasciato scelta o mi trasferivo a Milano o perdevo il lavoro. E adesso, dopo un anno e quattro mesi che sono qui mi dicono che dovrei rifare le valigie e trasferirm­i in Calabria». Questa volta, però, la reazione è stata compatta. «I sindacati ci hanno aiutati moltissimo», dicono a proposito di Cgil e Uil, ma la rivolta è scatta dal basso, istintiva e consapevol­e. Riassunta dal no secco al referendum e dalla frase stampata su una maglietta: «Non vi regalo la mia dignità».

L’incontro L’azienda ha accolto l’appello di Calenda a un tavolo ministeria­le già nei prossimi giorni

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Presidio La protesta dei lavoratori in via dei Missaglia
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(foto Corner) Il presidio Venerdì mattina la protesta davanti alla sede milanese dei lavoratori del colosso dei call center Almaviva

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