Ammazzò l’ex fidanzata a coltellate Sedici anni al killer di Debora
Il padre della ragazza: rabbia e delusione. Per Saraceno la pm aveva chiesto l’ergastolo
Nessuna aggravante contestata, un processo celebrato con il rito abbreviato e la pena per aver ucciso la ex fidanzata a coltellate è scesa a 16 anni di carcere, più 5 anni di obbligo di firma. È riuscito a ottenere un sconto di pena importante Arturo Saraceno, il 35enne che il 17 maggio del 2016 ha ucciso a coltellate Debora Fuso, 23 anni, dopo un litigio, inseguendola fino all’androne della palazzina dove i due, fino a poco tempo prima, stavano vivendo una bella storia d’amore. E poco importa, alla famiglia della vittima che il risarcimento sia stato stabilito in 500 mila euro. «Il dolore che ho provato è indicibile — racconta Luigi Fuso, padre di Debora — non si può colmare». La storia di Arturo e Debora doveva culminare nelle nozze, già fissate per l’11 agosto 2016, programmate con il consenso delle famiglie e poi annullate all’improvviso dopo una serie di accuse e veleni familiari a corrente alternata.
Il Gup di Busto Arsizio, Nicoletta Guerrero, non ha riconosciuto alcuna seminfermità psichiatrica nel giovane, ma non ha nemmeno fatto scattare eventuali aggravanti che avrebbero portato a una pena base più alta, i 30 anni richiesti dal pm Maria Cardellicchio. Deluso dalla sentenza il padre di Debora, Luigi Fuso: «Mi sono affidato alla giustizia — ha commentato — e sono stato ripagato con un verdetto del genere, il rito abbreviato per questo tipo di delitti non dovrebbe esistere. Oggi nella giustizia non credo più, questa è l’Italia e la mia famiglia lo ha toccato con mano, sono davvero deluso e arrabbiato».
Di segno opposto il commento del difensore: «Siamo soddisfatti, il giudice ha escluso l’aggravante della crudeltà e dell’abuso di ospitalità accogliendo le nostre motivazioni — ha commentato l’avvocato Daniele Galati, legale di Saraceno —. Il mio assistito ha capito di dover scontare la sua pena per quello che ha fatto, ora attendiamo le motivazioni e anche se la Procura deciderà o meno di appellarsi».
Arturo e Debora un tempo erano stati felici in quella casa di Magnago (Milano). Poi qualcosa si era guastato. Durante le indagini era emerso che l’uomo aveva delle ossessioni di gelosia ma aveva anche avanzato il sospetto che la sua fidanzata, originaria di Lonate Pozzolo (Varese), avesse rubato a casa di alcuni parenti. Un’accusa che non era andata giù alla famiglia di lei e che aveva scavato un fossato di incomprensioni, fino a far annullare il matrimonio. Arturo era scappato a Potenza, da altri parenti, per chiarirsi le idee. Debora lo aveva raggiunto, voleva tornare con lui, ma alla fine aveva prevalso l’astio. L’ultimo incontro doveva essere
quello di un ennesimo chiarimento. Nelle prime battute era presente anche la madre del trentatreenne, che poi aveva deciso di lasciarli soli. La discussione era degenerata. L’uomo aveva precedentemente tagliato delle fette di salame con un coltello, e infine l’ha usato contro Debora. «Mi è partito un embolo», aveva confessato, smarrito, ai carabinieri.