LA RICERCA DELLA FELICITÀ E LE COSE CHE ANCORA MANCANO
Cara Giulia, una lettera sulla felicità è un augurio per tanti giovani che cercano una realizzazione nella vita. Bentornata in questa pagina: quattro anni dopo sei cambiata tu, ma lo è anche Milano. E certe cose, di sicuro, non le scriveresti più. La città ha superato l’età dell’incertezza, dopo essere stata per molto tempo un vetrino della crisi, o della cupa marmellata, la chiamava Giovanni Testori, in cui s’era ridotto il Paese. È stata una marcia lunga, verso i flussi e i circuiti del mondo globale. Una marcia faticosa, che ha prodotto anche un cambio di carattere: Milano oggi è più simpatica, più aperta, più disponibile, più giovane, smart e cool, per dirla con i sondaggisti. Nel 2013, all’epoca dei tuoi diciannove anni, era già in corso un’inversione di tendenza, spinta da idealisti concreti e da cittadini pratici che hanno trovato nel Comune un facilitatore di buone pratiche e nell’Expo un moltiplicatore di positività. Oggi sono 50 mila i giovani che hanno invertito il senso di marcia e hanno deciso di venirci a stare. Dispiace che tu non ci sia, ma la felicità si trova dove si cerca e l’estero non è più una frontiera. La tua lettera ci dice che in Italia e a Milano manca ancora qualcosa per trattenere quelli come te. Manca il lavoro, miraggio per tanti che non lo trovano o l’hanno perso; manca il riconoscimento del merito, delle capacità e della passione. Tu parli di motivazioni, racconti di un’attività che a diciannove anni non pensavi di svolgere, sottolinei le gratificazioni: sono quelle che rendono la vita interessante e non banale. Serve anche questo ai giovani: sentirsi utili a qualcosa, a un progetto, alla costruzione di un’identità che dia appartenenza. Molte delle discussioni alle quali mi capita di partecipare oggi puntano a creare un sentimento, sollecitano una forma di nuovo umanesimo. È la reazione all’aridità e alle semplificazioni di una tecnica che ogni tanto dimentica la parola umanità. Guardiamo al positivo, però: nonostante tutto, ce l’hai fatta. E questo è il messaggio più bello. Può aiutare anche quelli che vivono un momento difficile, e non se lo meritano. La tristezza bisogna mandarla via.
Èil 1936. Ermanno Grasso posa con il figlio di 4 anni Angelo davanti a un ingresso della Fiera Campionaria. «Si nota un ingresso laterale della Fiera — scrive Angelo Grasso, oggi 80enne e ha concluso la sua carriera come Giudice di Pace in via Sforza — con un cartello alquanto autarchico ed economico che la pubblicizza in quei lontani tempi ancora tranquilli cui seguì, pochi anni dopo, la distruzione dei bombardamenti». Inviate le vostre foto della memoria all’email