Lettera a un padre donatore
Il «Pedigree» attuale e irriverente della compagnia Babilonia Teatri
Un ragazzo seduto su una poltrona con i braccioli Harley-Davidson racconta la sua vita, una lunga lettera al «padre», o meglio al donatore di seme che ha generato lui e altri cinque fratelli sparsi per il mondo. Tra le righe, i sentimenti che il giovane prova per le sue due madri, una coppia di donne che si ama, il tutto mentre le canzoni di Elvis Presley imperano, e sul girarrosto in scena si stanno cucinando quattro polli da dividere in famiglia. Benvenuti al Teatro Leonardo per «Pedigree» dei Babilonia Teatri, il primo spettacolo del cartellone diretto da Paolo Scotti, un altro lavoro della compagnia nato dal desiderio di non girarsi dall’altra parte di fronte alle questioni del nostro tempo. Il titolo è una provocazione, «Qui il pedigree è quello che le due madri cercano sfogliando un catalogo di donatori», afferma Enrico Castellani. «Niente di genetico, piuttosto uno spettacolo che vuole riflettere sulla famiglia non convenzionale e sul rapporto padre-figli».
Questioni che riguardano la complessità del nostro tempo, ma anche la natura umana e le sue complessità, «ci sono problemi etico-morali e diritti da rivendicare o da difendere, ma anche i desideri e le aspettative di giovani alla ricerca di nuove radici. Non si può chiedere in modo netto se si sta da una parte o dall’altra, è necessario tenere conto delle contraddizioni che ognuno vive dentro di sé, alcuni problemi non possono essere non risolti in modo matematico».
Per raccontare tutto ciò in scena un linguaggio diretto, ironico, a volte ruvido, in perfetto stile Babilonia, mentre in sala il girarrosto emana i suoi aromi, sul palco un mondo sospeso tra una galleria d’arte e uno street food dove ci si interroga sul come dividere quattro polli tra cinque fratelli, due madri e un inseminatore. A proposito del tema dell’identità l’autore anticipa un passaggio doloroso e beffardo. «Nelle lettera il ragazzo dice al “padre” che lui e i suoi cinque fratelli di seme sparsi per il mondo hanno un gruppo su WhatsApp, avrebbero voluto aggiungere anche lui, ma non hanno potuto farlo, non avevano il suo numero».
Cinquanta minuti di racconto e provocazione con un solo obiettivo: «fare i conti con le idiosincrasie del mondo in cui viviamo e con la nostra necessità di non nascondere la testa sotto la sabbia quando ci troviamo davanti a questioni nuove a cui non sappiamo rispondere. La storia che raccontiamo è un pretesto per interrogarci sul rapporto tra le potenzialità dell’evoluzione scientifica e la distanza con il pensare comune».