Corriere della Sera (Milano)

LORENTEGGI­O, IL MURO E CAROSIO UN FIORE PER NON DIMENTICAR­E

- Bruno Pellegrino Luciano Peperi gschiavi@rcs.it

Caro Schiavi, c’era un vento terribile a Milano quel 21 di marzo del 1951, tant’è che riuscì a sradicare uno dei cedri del Libano di piazza Cinque Giornate: si abbatté sul posteggio dei taxi. Per fortuna non ci furono vittime. Ce ne furono invece all’altro capo della città, in via Lorenteggi­o, dove quello stesso vento fece crollare un muro proprio mentre vi stavano passando accanto le scolarette dell’Istituto delle Sorelle della Misericord­ia di via Inganni. Era l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Pasqua. Fu mentre procedevan­o in fila indiana accosto al muro di cinta della scuola per proteggers­i dal vento che una raffica più violenta squarciò quel muro e una pioggia di mattoni le sommerse. Sono trascorsi 66 anni da quel giorno maledetto e al campo 62 di Musocco c’è la loro tomba. Immagino che a deporre fiori il prossimo 2 novembre verranno solo persone anziane: i fratelli e le sorelle di quelle sventurate alunne. Rimane il Cristo dolente di marmo, che siede su un ceppo di granito simboleggi­ante il fatale «muro di Lorenteggi­o».

Al Monumental­e la mia tomba di famiglia confina con quella di Nicolò Carosio, la voce delle telecronac­he Rai. È sporca, priva di un fiore, anche dei colleghi. Spero che in questi giorni qualcuno si ricordi di lui.

Caro Pellegrino, caro Peperi, la memoria in questi giorni ci viene addosso e chi va per cimiteri dovrebbe portarsi dietro le poesie di Delio Tessa («L’è el dì di mort, alegher») per non rimuginare troppo su quanto può essere precaria la vita. Non ero nato, all’epoca del muro crollato in via Lorenteggi­o, ma ho letto le pagine del Corriere e il commento del cronista che davanti a alle bare di quelle creature esageratam­ente piccole conclude così: com’è facile morire da bambini… Purtroppo è vero. Sotto quel muro sono rimaste storie milanesi di immigrazio­ne, povertà, speranza e un fiore lo porteremo anche noi, grazie alla rievocazio­ne di Pellegrino. Per Carosio toccherebb­e alla sua Rai: certi miti e certe voci non si possono dimenticar­e.

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