Corriere della Sera (Milano)

INVESTIRE NEL CARCERE PIÙ UMANO

- Di Paolo Foschini

All’inizio di questa settimana per due detenuti di San Vittore è arrivata dal tribunale una buona notizia: i magistrati che si occupano dei loro rispettivi casi li hanno autorizzat­i a partecipar­e a un concerto esterno con il coro di cui fanno parte. Peccato solo che il concerto c’era già stato, il 30 settembre.

Il che è roba da nulla rispetto ai tantissimi, e aumenteran­no, indicati ieri dal bel pezzo di Giuseppe Guastella come la folla dei «liberi-sospesi»: che il loro conto lo avrebbero anche già pagato salvo restare in galera perché nessuno esamina il loro fascicolo. Il che è roba da nulla rispetto ai circa 20 mila in Italia (più di un detenuto su quattro) con meno di tre anni che per legge potrebbero scontare fuori, facendo qualcosa di utile per sé e per altri anziché guardando il soffitto in cella. Il che è tutta roba da nulla, se vogliamo dirla col suo nome, rispetto al fatto che di chi sta in galera al novantanov­e di noi su cento importa esattament­e questo: nulla.

E nulla purtroppo importerà, a novantanov­e su cento, che un ufficio pure tra i più efficienti d’Italia come il Tribunale di sorveglian­za di Milano — quello che appunto si occupa non di mandare gente in galera ma di decidere su chi e come debba restarci o uscirne — sia stato costretto ad annunciare che da novembre toglierà dal calendario, causa drammatica carenza di organico, un giorno di udienze ogni settimana.

Con buona pace degli ottomila fascicoli di arretrato e del sovraffoll­amento delle carceri che nel solo distretto di Milano comprimono — con i 6.723 dell’ultimo dato aggiornato — 1.553 detenuti in più di quelli che ci starebbero. Per carità: ovvio che la coperta è corta per tutti. Non ne esiste uno, dentro al Palazzo di giustizia, di ufficio che non sia sotto organico. E per la regola di cui sopra possiamo tutti star sereni che anche il giorno in cui lo Stato avrà un euro con cui assumere un magistrato lo manderà in Procura per arrestarne ancora, non alla Sorveglian­za per tirarli fuori. Perché la sicurezza, certo. Eppure è proprio sulla sicurezza, che bisognereb­be fare un pensiero. Magari seguendo il ragionamen­to del provvedito­re delle carceri lombarde e ora di tutto il Nordovest, Luigi Pagano, il quale proprio ieri ha raccolto i dati di un rilevament­o commission­ato a tutti i suoi direttori: in Lombardia ci sono circa 1.600 detenuti con meno di tre anni da scontare, di cui 1.300 con meno di due anni, di cui 830 con solo un anno. Fa notare che anche solo trovando per questi una pena alternativ­a fuori dal carcere — niente di più niente di meno di quel che prevede la legge, nei casi in cui si può — l’affollamen­to rientrereb­be nei limiti. E se lo Stato non può pensarci da solo lui lancia un appello a imprendito­ri, aziende, grandi strutture: «Dare un lavoro a queste persone sarebbe il primo passo perché in galera non ci tornino». Perché se è vero che di loro a nessuno importa nulla, ed è così, magari potremmo anche solo pensare un po’ a noi. E chiederci quanta sicurezza in più ci dà, se è questo che ci importa, investire denaro per metter dentro chi fa una rapina piuttosto che impegnarlo affinché quando esce non torni subito a farne un’altra.

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