La banda dei camerieri al Principe di Savoia
Rubati champagne e argenteria: sette denunciati. «Volevamo arrotondare»
Nel pomeriggio del 5 ottobre i poliziotti del commissariato Garibaldi-Venezia si avvicinano a un signore distinto, 63 anni, che sta tornando a casa dopo il suo turno di lavoro. «Ci fa vedere i documenti?». «Prego, eccoli. C’è qualcosa che non va?».
«Possiamo controllare cosa porta nello zaino?».
L’uomo, perplesso, qualche segno di preoccupazione, tira fuori prima una scatola di porcini, poi una confezione di pomodori secchi, alla fine rialza lo sguardo e spiega: «Li ho appena comprati, al supermercato...».
«Ha uno scontrino?», domandano i poliziotti.
«No, non mi sembra, forse l’ho buttato, al momento non lo trovo .... ».
«Facciamo così, dato che lei è un uomo rispettato, e che ha un ottimo posto di lavoro, ma vuole prenderci in giro, adesso la accompagniamo a casa per un controllo».
Un’ora dopo, a Lomazzo, provincia di Como, nell’appartamento del direttore del room service dell’hotel «Principe di Savoia», la polizia inizia a fare l’inventario in una sorta di deposito. Vini, champagne, caviale, funghi, altri generi alimentari vari e ricercati: accumulati in settimane, in una sequenza di furti a ciclo continuo che stava svuotando dall’interno l’area ristorazione di uno degli alberghi più prestigiosi di Milano. Il «pezzo» più lussuoso era una bottiglia di champagne Dom Pérignon Brut Rosé Vintage 2000 (costo: sopra i 5 mila euro). Imboscata anche questa in una borsa, portata fuori alla fine del turno di lavoro, sottratta alla cantina dell’hotel, in una sorta di brama del furto facile. Un compulsivo «prendi e porta a casa» che nell’elegante e vellutato ambiente del «Principe di Savoia» s’era impossessato di sette dipendenti, tutti impiegati nei servizi di ristorazione. E tutti, oggi, denunciati.
Italiani. Incensurati. Età variabile dai 35 ai 63 anni. Valore stimato complessivo della merce sequestrata (che non è tutta quella rubata), tra i 20 e i 30 mila euro.
L’inchiesta è partita da una segnalazione dei responsabili della sicurezza dell’albergo. La squadra investigativa del commissariato, coordinata dal funzionario addetto Alessandro Chiesa, s’è messa al lavoro ma all’inizio era complicato indagare in un ambiente chiuso come quello dei dipendenti. Il 5 ottobre i poliziotti hanno deciso di controllare il direttore del room service. Qualche giorno dopo, però, è accaduto un fatto interessante.
Gli agenti del commissariato di Legnano fermano un ragazzo sudamericano in condizioni disastrose, strafatto di cocaina. Fino a qui, niente di strano, ma quell’uomo ha una borsa piena di argenteria griffata con il marchio del «Principe di Savoia». «E questa roba dove l’hai presa?». «Me l’ha venduta un tizio per 300 euro, diceva che doveva disfarsene subito». I poliziotti collegano: il cocainomane è in contatto con uno dei dipendenti dell’hotel; l’anziano del gruppo ha avvertito gli altri; i ladruncoli improvvisati stanno andando in agitazione. Il 20 ottobre i poliziotti organizzano altre sei perquisizioni, ma solo in una casa trovano una trentina di bottiglie di vino.
Il direttore del room service alla fine ha ammesso. Era un modo per «arrotondare»: vini e alimenti (in parte anche l’argenteria) venivano smerciati attraverso amici, conoscenti, persone contattate col passa parola; a volte i furti erano «su commissione», dopo aver proposto l’acquisto attraverso «canali vantaggiosi», soprattutto di certi vini.
Il «gruppo dei 7» è stato infine ricostruito nei dettagli anche attraverso le chat e gli sms rintracciati nei telefoni. Messaggi del tipo: «Domani arrivano 10 bottiglie di... Ne prendiamo 3?».