Corriere della Sera (Milano)

Stefano Massini nel Medioevo di Eco

Il drammaturg­o adatta per il teatro il bestseller «Il nome della rosa» con la regia di Leo Muscato

- Giuseppina Manin

L’idea di farsi frate no, non gli era mai passata per la testa. «Ma il mestiere dell’attore riserva colpi di scena impensabil­i — assicura Luca Lazzaresch­i —. Così, da giorno all’altro, mi sono ritrovato in saio, sandali e barba di rigore». Il frate in questione si chiama Guglielmo da Baskervill­e, il francescan­o protagonis­ta de «Il nome della rosa» fortunatis­simo thriller teologico di Umberto Eco da cui Jean-Jacques Annaud ha tratto un altrettant­o fortunato film. Sean Connery nel ruolo che ora è di Lazzaresch­i. «Pietà, niente paragoni impossibil­i! Se non altro perché quello era cinema e il nostro teatro», avverte l’attore toscano, da stasera al Parenti alle prese con i segreti e i delitti dell’abbazia di Eco riletti per il teatro da Stefano Massini, regia di Leo Muscato, mentre Margherita Palli firma una scenografi­a «al nero», dove la luce entra a tradimento da porte, fessure, feritoie, e la biblioteca, cuore insidioso del monastero, si trasforma via via in cappella, cella, ossario, refettorio.

«Uno spettacolo di grande impatto visivo, con un cast importante e una tournée lunfascino ghissima in vista. Roba d’altri tempi...», commenta Lazzaresch­i. Per realizzarl­o hanno unite le forze tre Stabili, quello di Torino, di Genova e del Veneto. «La sfida è stata tenere in equilibrio i vari piani del racconto. E da parte mia, di dare corpo a un personaggi­o letterario». Il enigmatico di Baskervill­e ha aiutato. «Un uomo di fede, un erudito dal passato tenebroso. Sappiamo che è stato un inquisitor­e, uno che pensava di avere la verità e perseguita­va gli eretici, magari bruciava le donne in odore di stregoneri­a. Un’ombra che lo accompadav­anti gna, che gli conferisce quell’alone di mistero e ambiguità proprio dei grandi caratteri».

Ma poi Guglielmo è cambiato. «Qualcosa è successo, ha lasciato alle spalle quel mondo oscuro. Si è convertito al raziocinio, all’arte dell’ironia e del distacco. E quando si ritrova ai delitti inspiegabi­li del monastero, inizia a investigar­e con la logica sottile propria del metodo deduttivo di Sherlock Holmes».

Un destino scritto nel nome, Baskervill­e è una citazione di un celebre giallo di Conan Doyle. «I riferiment­i sono espliciti. Guglielmo e il novizio che lo accompagna, Adso de Melk, formano una coppia che ricorda Holmes e Watson. Da semiologo qual era, Eco tesse l’elogio della realtà dei segni. Fa dire a Gugliemo: “Non ho mai dubitato della verità dei segni, sono la sola cosa di cui l’uomo dispone per orientarsi nel mondo”». Alla fine, tutta la storia è il conflitto tra ragione e oscurantis­mo. «Il nome della rosa è più che mai attuale, tanto che Rai1 sta realizzand­o una serie diretta da Giacomo Battiato, dove Baskervill­e sarà Turturro. Stiamo vivendo un nuovo Medioevo, il diritto di scherzare sulle religioni si è fatto problemati­co: un richiamo alla forza della ragione, al potere salvifico del riso, è più che opportuno».

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In monastero Luca Lazzaresch­i (Guglielmo da Baskervill­e) e Eugenio Allegri in una scena de «Il nome della rosa»

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