La caccia all’ Ofo sale sul balcone
Mezzi in condivisione, la scoperta durante i sopralluoghi con l’app
Vagolo in zona Vincenzo Monti in auto. È una zona che mi rende nervosissimo perché lì l’Area C è in agguato in maniera «particolare». Vuol dire che basta svoltare distrattamente che ti becchi la multa.
Sono fermamente convinto che gli hub cittadini abbiano un’anima. Piazza della Conciliazione e Porta Lodovica sembrano streghe di Halloween pronte a punirti alle spalle. Invece corso Venezia non ti mente mai, ti accoglie in un abbraccio, lo vedi da chilometri che inizierà l’Area C.
Preso da questi cupi pensieri, mi sopravanza brillantissimo uno studente sulla sua Ofo gialla.
Ma le bici in sharing hanno un nemico: il pavè.
Chi le ha costruite è convinto che in Italia abbiamo liscissime ciclovie in tartan tipo Amsterdam.
E invece la Madonnina ha il pavè.
L’hipster con la barba alla Vittorio Emanuele mi saetta a fianco. Lo immagino andare dritto sparato a una scuola di design in centro, fiero delle sue zero emissioni di Co2. Ma puntualmente, come svolta in largo Quinto Alpini, il sorriso gli si spegne in volto e le sue funzioni genitrici sono duramente messe alla prova. Le bici hanno ammortizzatori ridicoli. Si pentirà?
La mia è tutta invidia. L’hipster mi ispira, maledico di essermi spostato in auto, parcheggio, apro la mia brava app e zàcchete individuo la solita bici, disponibilissima…dentro un cortile.
Ormai avvezzo, entro sparato. La bici non c’è, eppure il segnaposto sulla app è di un giallo intensissimo: il velocipede dev’essere qui.
Un gruppo di cuochi bengalesi, impegnati nel ristorante italiano sciuretto che dà sulla strada, mi guarda sornione. «Cerchi bici gialla?». E puntano il dito verso l’alto, tipo Scuola di Atene. Esito per un attimo, forse vogliono dirmi che le bici Ofo ormai sono assurte a una costellazione nel firmamento.
E invece. Sono sempre stato un tipo piatto.
«Tu devi andare al quarto piano».
Si sono portati la Ofo al ballatoio.
Mi precipito a falcate di tre scalini per volta su al quarto. Ed ecco che un ragazzo scende come una folgore: giovanissimo, sembra uscito da «I Fiori delle mille e una notte» di Pasolini, ha a malapena la prima peluria sopra il labbro. E arranca con la nostra Ofo sulle spalle.
Ha un enorme zainetto-cubo sulle spalle. Pure quello giallo, tutto in tinta. Deve consegnare un pranzo con uno dei tanti servizi food delivery che imperversano in città. Usa la Ofo per avere il lavoro.
E lì vado in corto circuito. Da una parte, la «causa delle bici rapite». Dall’altra mi viene in mente il compenso ridicolo che questi pony-express-senza-motore si beccano a ogni consegna.
Il corto circuito è lungo abbastanza perché Luigi, lo chiameremo così, mi si sfili dalle mani.
Scendo sconsolato a cercarmi un’altra Ofo.
E fuori dal portone scopro una cosa buffissima. Luigi non sa andare in bici.
Lui è ancora lì. Tiene sempre la terza e quindi fa un metro in 20 pedalate.
Tutta quella energia giovane pasoliniana, e poi mi finisce con la ruota nei binari del 5, per poi scabussare alla fine sul pavè. È scivolato di faccia. Sta verificando terrorizzato se lo zainetto-cubo sia intatto.
Mi guarda. Lo dicevo io del pavè.
«La bici non s’è fatta nulla», gli faccio. «Tu stai bene? Come ti chiami?».
«****». Sembra uno di quei dipinti da Al-Fayyum, gli occhi enormi, sgranati. «Dove devi consegnare?». «Porta Venezia». «Hai una fortuna mostruosa. Mi dicevi “Porta Lodovica”, non ti portavo».
Apriamo il baule dell’auto, carichiamo la Ofo e lo zaino.
Viene da ****. Ha bisogno di quel lavoro e una bici non ce l’ha. E fino al 31 ottobre, tutto sommato giustamente, la usa senza sosta per mettere da parte i soldi e farsene una, per incominciare a lavorare fisso.
Arriviamo a destinazione, mi guarda: «Adesso tu vuoi la Ofo indietro, vero?».
«Lascia perdere, cerco in un altro cortile».
@sergiobassocina