UN SEGNALE DI PACE AI TURISTI
Lo sappiamo tutti che in fondo la tassa di soggiorno è un falso problema. Sappiamo che basterebbe inglobarla nella tariffa alberghiera e nessuno si sognerebbe più di restarci male. Ma è proprio perché si presenta con un travestimento tutto suo, distinta dal conto finale, che diventa un vero problema: benché marginale come quantità, il turista coglie il lato vagamente odioso della sua qualità. Bisogna intendersi: i turisti che diventiamo, ma anche i lavoratori in trasferta che siamo, sanno benissimo quanto costi mantenere in ordine e in salute una città. Poco senso ha dire che già paghiamo abbastanza tasse come contribuenti, proprio per i servizi collettivi e il bene comune: qui si parla del consumo supplementare di città, che va oltre l’ordinaria manutenzione, il consumo supplementare di gente in arrivo da fuori, estranea agli equilibri civici. Per chiarirsi del tutto la sfumatura, bisogna pensare più che altro al caso estremo di Venezia: lì davvero si percepisce subito come un prelievo aggiuntivo sia giustificato dallo sfruttamento brutale del luogo, in tutte le sue forme, a cominciare dalle carte unte e alle lattine lasciate ovunque. Passando su Milano, però, la reazione emotiva alla gabella è maggiore. Purtroppo Milano non è mai, non ancora, non del tutto, vissuta come metropoli turistica. Milano non ha l’urgenza di arginare gli arrivi. Caso mai, ha bisogno di attirarli. E questo è il primo punto, sono i banali meccanismi della legge di mercato, domanda e offerta sulla bilancia in una ricerca di reciproca soddisfazione.