Corriere della Sera (Milano)

QUEI PACCHI CHE TORNANO AL MITTENTE

- di Antonio Lubrano

Il signor Tizio va all’ufficio postale di Chiusi (Siena) per inviare due pacchi contenenti articoli sanitari a un indirizzo di Milano. Riempie il modulo verdastro che l’impiegata gli porge e poi chiede: «Ma è vero che è meglio non scrivere anche sulla scatola il mittente perché gli addetti alle consegne possono confonders­i col destinatar­io?». È quasi uno sfottò, ma la signora dietro lo sportello annuisce e poi consiglia: «Meglio scriverlo piccolo piccolo. In ogni caso fa fede il nostro modulo». Il sig.Tizio esegue diligente. Adesso l’impiegata controlla scrupolosa­mente il modulo ufficiale, dove è tutto ben chiaro: destinatar­io, mittente, contenuto, peso e costo dell’operazione. E lo incolla sui plichi: poiché è una spedizione ordinaria impieghera­nno tre giorni per arrivare all’indirizzo milanese. Invece la mattina dopo a casa di Tizio giunge uno dei due pacchi. Ma come? E Milano? Ahia! Ecco la prova che l’addetto alle consegne non conosce la differenza fra destinatar­io e mittente. Certo, capisco, pensa il sig.Tizio, la parola destinatar­io deriva da destino e il destino è sempre misterioso, mentre mittente è figlio del latino mittere, che vuol dire mandare. Allora torna allo sportello. Breve controllo, l’altro pacco ha già superato Firenze e punta deciso su Milano. L’imbarazzo è palese. «Può succedere, sa..». Sì, può succedere, però le Poste ci fanno una pessima figura!

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