Un Pomodoro nel ristorante
Un ristorante nel palazzo in cui lavorava l’artista: spunta un capolavoro
Una strana fusione tra la Milano storica e l’importazione di una cultura giapponese autentica: il ristorante «Tokyo Grill», a Brera, ha aperto nel palazzo in cui Giò Pomodoro aveva il suo laboratorio.
Si entra da una porta stretta. Si china la testa (volendo), o si tocca con la fronte il lino blu della
noren, la tenda tradizionale, quella che si incontra in tutti i ristoranti del Giappone e che invece è più rara in Europa, leggero diaframma esterno, mosso dall’aria, che introduce al raccoglimento degli ambienti chiusi nipponici.
E già la noren color blu notte, che da luglio scorso penzola discreta al civico 3 di via Fiori Oscuri, cuore riservato di Brera, racconta che in quel ristorante, il «Tokyo Grill», sta avvenendo una strana fusione tra la Milano storica e l’importazione di una cultura giapponese autentica: perché è un palazzo del ‘600, a pochi passi dalla Pinacoteca, e non ci sono vetrine su strada, ma solo quella piccola porta, che apre l’accesso in ambienti disposti su tre piani, scale e livelli sfalsati, spazi più ampi che s’alternano ai più stretti, corridoi, paraventi mobili, luce morbida che mescola accoglienza e segretezza. E alla fine si scopre che un segreto c’è davvero, anche se non visibile ai clienti, al pubblico, ma confinato in un locale di servizio sul retro: dove, sul fondo, sta attaccata alla parete una grande scultura in pietra di Giò Pomodoro, che in questo palazzo aveva il suo studio. «Non pensavo di riuscire a trovare un’architettura che fosse così profondamente milanese e, allo stesso tempo, adatta ad accogliere l’idea di cultura e cucina giapponese che volevo portare a Milano», racconta Gianmaria Zanotti, che qualche mese fa ha fatto il suo «viaggio a ritroso». Perché 25 anni fa Zanotti, «per i casi della vita», si trovò a gestire l’apertura del primo locale di fine dining italiano in Thailandia, al Mandarin Hotel di Bangkok, e da lì ha iniziato una carriera di ristoratore/imprenditore con l’apertura di ristoranti e vinerie, una catena di pizzerie (poi ceduta), la prima licenza per importare il caffè Illy (sempre in Thailandia), l’espansione in Birmania.
«Dopo aver professato per un quarto di secolo il gusto italiano in Asia — racconta — con mia moglie abbiamo voluto fare il percorso inverso e portare un’idea di Asia autentica in Italia». E allora c’è il piano sotterraneo del «Tokyo Grill» riservato al teppanyaki, con lo chef che cucina su una grande piastra intorno alla quale sono riuniti gli ospiti, e poi i 18 tavoli per lo yakiniku, la griglia (in una buca al centro) che i clienti gestiscono in autonomia.